Cosa resta se oggi sia l’arte che la politica sono diventate inaccessibili? Resta l’amore, certo, ma è sempre più sfuggente. È ancora possibile parlare dell’amore, comunicarlo? O anche il linguaggio amoroso ha perso significato, come già l’arte e la politica? Non è il cinema o la pittura a salvare la coppia composta da Frédéric (Louis Garrel) e Angèle (Monica Bellucci) in Un été brûlant: piuttosto li mettono in scacco, svelandone contraddizioni e ambiguità. Anche la politica è scomparsa, ridotta a qualche frase sparsa qua e là, priva di azione concreta. La lingua che parlano è di un’altra epoca, arriva da un altrove. E non è colpa di Frédéric o di Angèle se oggi quella lingua e quell’amore sono impossibili.

Philippe Garrel non vede nel presente una colpa individuale e non si erge a “vecchio saggio” o, peggio, a “maestro” che guarda con disprezzo la società odierna. Li osserva, piuttosto, con comprensione e tenerezza, consapevole che, come dice proprio Maurice al nipote Louis (Frédéric) nella sequenza finale, assai toccante: “E la fortuna. Esiste la fortuna”, raccontando di quando, durante la guerra, una pallottola dei tedeschi si era conficcata nel meccanismo della sua carabina, che gli aveva fatto da scudo. “La nostra vita dipende da un nulla, da una piccola cosa”. “Vedi, io non ho avuto una carabina che mi ha salvato. E non me la caverò come te”, risponde Louis-Frédéric, che ha tentato di suicidarsi dopo che Angèle lo ha lasciato. Il nonno, la sua generazione, hanno avuto delle possibilità che il nipote e i suoi coetanei non hanno più. Non è una colpa. Forse è una questione di fortuna, come dice Maurice. O forse, semplicemente, la Storia è andata in un’altra direzione.

Se ne Les amants réguliers, ambientato all’indomani del maggio ’68, il suicidio di François (sempre Louis Garrel), poeta impegnato politicamente, aveva ancora un senso – il dolore per il fallimento politico, artistico e amoroso (Lilie, una scultrice militante, con cui ha una storia d’amore, parte per gli Stati Uniti con un altro uomo per proseguire là la sua carriera artistica) – oggi non lo ha più. All’amore subentra il disprezzo, la sensualità diventa volgare: nella magnifica sequenza della festa, Frédéric guarda Angèle danzare con fare seducente con altri uomini. La guarda come guarderebbe uno spettacolo osceno alla tv. Allo stesso modo, in una Cinecittà che ricorda quella de Le mépris di Jean-Luc Godard, la osserva recitare, male, in un brutto film. La coppia a loro speculare, Elisabeth e Paul, fa da testimone al loro disastro, non del tutto consapevoli dell’impossibilità di conciliare arte e amore. Ormai quel mondo è finito, non è più il tempo.

Scritto da Gloria Zerbinati.

Gloria Z.
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