Transparent – Stagione 1: la recensione
Il soggetto di Transparent, serie prodotta da Amazon e distribuita online, è strettamente connesso al vissuto della sua ideatrice Jill Soloway, già sceneggiatrice (Six Feet Under) e produttrice televisiva (United States of Tara), che ha sperimentato in età adulta il coming out come persona transgender del padre già anziano. Punto di partenza della serie è infatti la necessità di Mort Pfefferman (uno straordinario Jeffrey Tambor), professore universitario in pensione, di convocare i tre figli e mostrarsi finalmente come Maura: ci riuscirà, dopo un paio di comprensibili ripensamenti, molto in fretta con le due figlie, dopo qualche tempo con il figlio maschio; ma nel frattempo al coming out di Mort si affiancano le dinamiche personali e familiari dei tre figli, dei loro partner, degli amici, della madre e del suo secondo marito.
Per Mort non è solo questione di abiti differenti, ma anche di movimenti privati e pubblici, di gesti e abitudini, di liberazione dal pensiero delle conseguenze e di condivisione di tutto ciò. Essendo Maura da sempre, più che svelarsi Mort smette dunque di nascondersi, come succedeva in rari momenti di fuga dalla menzogna della propria identità, mostrati in flashback discreti ed efficaci: l’episodio “Best New Girl” ambientato al camp Camellia riesce ad esempio ad essere illuminante riguardo all’enormità delle sfumature nell’esperienza della propria identità di genere, asserendo, una volta di più, che catalogarle e gerarchizzarle non ha senso. Ma né Maura né tanto meno i figli sono tratteggiati in modo banalmente positivo: Sarah, Ali e Josh sono anche volitivi ed egoisti, emersi da un’adolescenza “strana” ma privilegiata, figli di un contesto anticonformista ma con un forte senso di appartenenza familiare e religiosa (i Pfefferman sono ebrei più o meno praticanti), costantemente messo in discussione ma dal quale di fatto nessuno dei tre si è mai, per comodità, allontanato. Ognuno di loro ha a sua volta un modo diverso di esprimere la propria ricerca d’amore e di identità, che sia sessuale, di genere o esistenziale. Ognuno dal coming out di “moppa” (come Ali inizia a chiamarla unendo “mom” e “papa”) viene ispirato, sfidato, spinto a riflettere e a condividere. Così Sarah, la maggiore, sposata e mamma, l’unica aderente a un modello familiare ordinario, sceglie di seguire una strada diversa, non senza umanissimi dubbi e indecisioni. Josh, discografico modaiolo e immaturo, proietta su tutto ideali romantici smentiti puntualmente dal suo stesso comportamento, oltre che dal mondo che lo circonda (i desideri proibiti di un quindicenne, la paternità, l’accasarsi con una “donna perbene”). Ali spinge oltre la sua esplorazione (a volte rispettosa, a volte morbosa) di un’identità complessa, fluida e curiosa.
Transparent parla di apertura al cambiamento e di legami problematicamente indissolubili, senza scene madri né drammi. La scrittura eccellente, la regia delicata, le interpretazioni magistrali fanno sì che tutto risulti naturalmente sospeso, credibilmente indefinito, realisticamente vario: rassicurante nel suo cristallino rifiuto di porre categorie, delimitazioni, giudizi.
Chiara C. | Giacomo B. | Sara M. | ||
9 | 9 | 7/8 |
Scritto da Chiara Checcaglini.