Loach in 4. Piovono Pietre: la recensione
Se dovessimo scegliere un film simbolo della poetica e della carriera di Ken Loach, probabilmente è Piovono Pietre il film che farebbe al caso nostro, non solo perché contiene buona parte delle tematiche ricorrenti del regista. La rabbia e lo sdegno dell’autore scozzese sono gli stessi che hanno caratterizzato le opere precedenti e che caratterizzeranno quelle successive, così come la carica politico/ideologica è quella che tutti conosciamo. Uno degli elementi, però, che rendono Raining Stones più incisivo e memorabile di alcune fatiche successive è il fatto che l’aspetto di denuncia e di rivendicazione sociale e politica è sì fondamentale, palese ed esplicito, ma non appare programmatico o didascalico, come capiterà in molti (pur buoni) film realizzati da Loach a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila (da La Canzone di Carla a Paul, Mick e gli altri), opere necessarie e coerenti quanto un po’ di maniera.
In Raining Stones, invece, gli aspetti che per sintesi e comodità possiamo raggruppare nel termine “impegno” non risultano eccessivamente predominanti nei confronti delle altre componenti: così, tutto funziona alla perfezione, a partire proprio dall’efficacia – sia “politica” che emotiva – con cui questi aspetti vengono trasmessi allo spettatore. Loach è abilissimo nel descrivere con rabbiosa perfezione l’ambiente sociale del sottoproletariato inglese dominato da disoccupazione, piccola e grande criminalità, droga e assenza di sogni e prospettive. Allo stesso tempo è abilissimo nel versante intimista, evidenziando l’importanza delle piccole gioie, all’apparenza superflue, se non dannose – il vestito per la prima comunione della figlia del protagonista intorno al quale ruota l’intera vicenda – in realtà fondamentali per non cadere nel baratro in cui il contesto sembra inesorabilmente spingerti.
Piovono Pietre è così un film estremamente lucido e duro nella denuncia e nella rappresentazione dello stato delle cose in quell’ambiente sociale, quanto speranzoso: speranza tutt’altro che ingenua e posticcia, ma terapeutica, sostenuta un po’ dall’impianto quasi da favola sociale della narrazione, quanto dai ricorrenti, ma mai invadenti, momenti ironici e comici. Questo senso di speranza non impedisce al film di essere radicale nel porre importanti dubbi morali – sul senso della giustizia e sul concetto di uomo giusto, e su cosa questo può permettersi di fare se messo alle strette – e nella sua rappresentazione politica: inedito, dato il passaporto ideologico del’autore, è il ruolo assunto dalla Chiesa Cattolica. Il protagonista è un uomo di fede, e la sua speranza nel trascendentale appare come strumento fondamentale per non cadere nel pantano, così come, materialmente, è decisivo l’aiuto del prete del quartiere.
Edoardo P. | ||
8 1/2 |
Scritto da Edoardo Peretti.