Mommy: la recensione
Il film di Xavier Dolan, premiato a Cannes ex aequo con Godard
Se con il suo primo film, J’ai tué ma mère, Xavier Dolan voleva punire sua madre, con Mommy cerca di farla vendicare. Sono passati cinque anni, diversi Festival di Cannes, riconoscimenti e tagli di capelli per l’enfant prodige (o terrible che si voglia) del cinema québecois, diventato ormai gloria nazionale in Francia, dove l’attenzione sul film ha avuto una copertura enorme, merito anche dell’immagine positiva, felice ed energica del suo autore.
Immaginato da Dolan come un film sui vincenti, Mommy racconta il rapporto conflittuale tra una madre sui generis, ruvida, esagerata e inarrestabile e suo figlio adolescente, affetto da disturbi comportamentali, che alterna momenti di candore ad iperattività e violenza. A fare da collante tra queste due forti personalità c’è una vicina di casa con problemi di linguaggio causati da un dramma familiare. Tre personaggi singolarmente complicati che nell’interazione ritrovano frammenti di senso e di inaspettata gioia. Chiusi da Dolan nel formato 1:1 devono inevitabilmente far quadrare le proprie vite, attraverso momenti di ordinaria e straordinaria quotidianità, illuminate da una fotografia volutamente patinata, calda e luminosa e da una colonna sonora fin troppo autobiografica e appiccicata sul film (davvero Wonderwall degli Oasis può spezzare il cuore a qualcuno? E quale sedicenne canterebbe a sua madre Vivo per lei di Andrea Bocelli ad un karaoke frequentato da bifolchi?). L’impressione è che Dolan abbia in testa ricordi, memorie, idee e pezzi della sua vita che non vuole ordinare né rendere universali ma che preferisce restituire così come sono, sicuro che lo spettatore li percepisca esattamente come lui o semplicemente fregandosene.
Mommy è si un film ibrido, disorganico e urlato ma non per questo difficile. Dolan non va troppo al di là di un immaginario compiaciuto e barocco e quando ci prova, con la musica giusta, il ralenti e tutte le buone intenzioni del caso, non scalda, non lascia addosso allo spettatore quella voglia di entrare nello schermo, spalancando il formato con le mani. Debolezze che sorprendono dopo l’entusiasmo, il coraggio e la sincerità del precedente Tom à la ferme, naif e sfacciato come è giusto che fosse, inquieto e straniante come un tango ballato nel fienile. Nel disappunto generale, una nota di merito alla meravigliosa bruttezza del dialetto joual del Québéc, crudo e incendiario come avrebbe dovuto essere tutto il film. “Sono piena di speranza” dice la madre in una delle ultime scene. E noi con lei sul futuro di Dolan, senz’altro autore di un cinema personale, inventivo e impetuoso, pop e classico insieme, forse un genio a cui è capitata la sfortuna di essere compreso. Chi ci crede poco è Jean-Luc Godard che, in occasione della premiazione ex aequo a Cannes, ha comunicato alla stampa che non sarebbe mai andare a vedere Mommy “perché è un altro film per la TV e oggi tutto è prevedibile”. Se è vero che gli obblighi morali nei confronti delle nostre madri (e dei nostri padri) ci impediscono di crescere, è vero anche il contrario.
Giusy P. | Alice C. | Chiara C. | Davide V. | Edoardo P. | Eugenio D. | Giacomo B. | Sara M. | Sara S. | Thomas M. | ||
5 | 8 | 8 | 7 | 8 1/2 | 8 | 8 | 8 | 7 | 7 1/2 |
Scritto da Giusy Palumbo.