Belluscone – Una storia siciliana: la recensione
Il rapporto unico fra Berlusconi e la Sicilia sulle note neomelodiche di Ciccio Mira
Documentario, mockumentary o fiction: non si sa fino in fondo quanto ci sia di vero e quanto di ricostruito in Belluscone. Una storia siciliana, straordinario, agghiacciante e, al tempo stesso, esilarante film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, con il quale Franco Maresco, dall’eremo in cui si è confinato in preda alla depressione, cerca di ricostruire le vicissitudini della sua impresa più ambiziosa, in cui avrebbe dovuto raccontare il rapporto unico fra Silvio Berlusconi e la Sicilia, e più in generale la trattativa Stato-Mafia, della quale il Cavaliere viene presentato come uno dei principali artefici. Se la parte in cui viene ricostruita la trattativa, girata con uno stile incalzante alla Michael Moore, è la più debole e risaputa, e alcune scelte registiche (come la testimonianza del pentito mascherato) appaiono posticce, il film acquista valore quando entra nel vivo nella scena musicale neomelodica siciliana, presentando personaggi grotteschi ma reali come l’impresario palermitano Ciccio Mira, nostalgico della mafia di un tempo, e due cantanti della sua scuderia, i tamarrissimi Vittorio Ricciardi ed Erik, che si contendono la paternità della demenziale canzoncina “Vorrei conoscere Berlusconi”. Freaks non dissimili da quelli che solitamente popolano il cinema di Maresco, ma perfettamente inseriti in un tessuto sociale basato sull’omertà e sull’ignoranza – in cui i mafiosi in carcere sono salutati nelle feste di piazza come “amici ospiti dello Stato” – nonché sul mito del successo di cui Berlusconi, agli occhi della gente, rappresenta la più completa realizzazione. Il film alterna le interviste a questi personaggi (girate con lo stesso stile ironico e dissacrante degli sketch televisivi di Cinico TV, con la voce fuori campo del regista e l’inquadratura fissa sui loro volti imperturbabili) al viaggio a Palermo del critico Tatti Sanguineti, nelle vesti di investigatore, per scoprire i motivi che spinsero Maresco a rinunciare al suo progetto.
Il risultato finale, molto interessante sul piano stilistico, con la scelta del bianco e nero per le sequenze del documentario incompiuto e dei colori per quelle più recenti, e senza nette divisioni fra realtà e ricostruzioni, provoca sensazioni contrastanti: se, da un lato, risulta facile indignarsi di fronte allo squallore etico e culturale dei personaggi intervistati, dall’altro si finisce per provare una certa simpatia per loro, specialmente per l’ineffabile Ciccio Mira, che non avrebbe sfigurato come protagonista dei precedenti film di finzione del regista palermitano. Non si riesce a capire fino a che punto Maresco sia indignato, divertito o rassegnato dietro alla macchina da presa, dalla quale si sente solo la sua voce stentorea. Sia che volesse girare un’opera di denuncia sull’impossibilità di raccontare la verità in un mondo basato sulla menzogna, sia che volesse semplicemente prenderci in giro, o fare un po’ tutte e due le cose, in ogni caso sembra esserci riuscito alla grande.
Davide V. | Barbara N. | Chiara C. | Eugenio D. | Giusy P. | Michele B. | Sara S. | ||
8 | 8 | 9 | 8 | 9 | 7 1/2 | 7 1/2 |