Assayas in 4. l’Eau Froide: la recensione
“Ho i miei libri, i miei dischi, le mie carte e nessuna esperienza”. Sono storie di identità in definizione quelle di Assayas, ne L’eau froide o nel più recente Après mai, che partono dal medesimo spazio del ricordo autobiografico e collettivo – lo scenario politico dei primi anni ’70 – per muoversi più in profondità, nella percezione che il singolo ha di sé e dell’alterità, in relazione ad una cesura generazionale impossibile da ricomporre.
E Gilles qui rappresenta proprio quella gioventù che rompe col passato e rivendica il proprio diritto ad essere sé nel mondo, anche quando questo sé è concetto sfuggente e pare più un’alternanza incoerente di esperienze del limite, ricerca di modelli alternativi a quelli genitoriali, comportamenti devianti, silenzi e acting out. Ma laddove Après mai concentra l’attenzione su un passaggio successivo della ricerca del senso – l’unicità creativa, il rapporto tra vita e politica e tra politica e arte – l’Eau froide è più radicale perché si situa ad un livello più primitivo della definizione dell’identità. Non a caso la famiglia, primo luogo dell’individuazione, è riferimento continuo, motore dell’azione, incarnazione di quelle esperienze, di quell’eredità che ancora vorrebbero darsi come unica chiave di lettura del mondo. E Christine e Gilles, pur lontanissimi per background socio-culturale condividono il disagio che l’istituzione familiare crea, con la propria inadeguatezza, e al contempo colpevolizza, chiusa a riccio in un’idealizzazione rassicurante dei figli – adulti nella misura in cui questo risulta utile nello scontro dialettico – e nascosta dietro l’alibi dell’incomunicabilità.
Christine, con un padre-ombra e una madre fragile, terrorizzata dal suo giudizio, finisce per essere allontanata nel luogo d’elezione della cattiva coscienza sociale, l’istituto psichiatrico. Gilles – apparentemente capriccioso nell’allontanarsi dal contesto borghese a cui appartiene – subisce violenze più sottili ma non meno destabilizzanti, da un padre apparentemente pacato ed accondiscendente, quanto disincantato, giudicante e anaffettivo. La fuga e il percorso di catarsi che i due intraprendono, in bilico tra gli elementi – il fuoco che brucia, in una scena di incredibile suggestione, i cimeli di un passato da cancellare e l’acqua gelida in cui immergersi nell’alba di una nuova vita – sarà incerto e doloroso per entrambi ma necessario: percorso di chi non ha alternative per Christine, prima vera esperienza di vita per Gilles, che si muove insicuro sulla strada, geografia da scoprire al di là delle pagine di Ginsberg e delle parole di Janis Joplin, mondo di carne e sangue e speranze e paure da percorrere ostinatamente, con un foglio di carta bianca in mano come bussola e ultimo testamento.
Scritto da Barbara Nazzari.