Detour. Watermark: la recensione
Un’impetuosa cascata d’acqua carica di energia, una distesa desertica povera di vita. Comincia così, con un’eloquente contrapposizione d’immagini, il documentario Watermark dei canadesi Edward Burtynsky e Jennifer Baichwal, in concorso al Detour Film Festival e già presentato a Toronto e Berlino, chiarendo immediatamente la propria dichiarazione d’intenti. L’acqua è fonte di vita sotto ogni punto di vista: biologico, geografico, storico, economico, sociale e spirituale. Risorsa naturale primaria, l’acqua è l’elemento da cui nasciamo, come specie e come civiltà, il cui viaggio ha dato il via a tutto, e seguirlo vuol dire ripercorrere la storia del mondo e lo sviluppo (e declino?) della civiltà.
L’occhio della coppia di documentaristi, che già aveva indagato la modificazione del territorio in Manufacted Landscapes del 2006, segue questo viaggio facendosi trasportare dalla corrente, dalla California all’India, dall’Islanda alla Cina, dalle fontane di Las Vegas ai ghiacci dell’Antartide, realizzando un potente ritratto dell’impronta che l’acqua impone sul territorio. Un’impronta che nell’ultimo secolo si è fortemente modificata a causa dell’intervento massiccio dell’uomo. Scopriamo così che l’imponente acquedotto californiano, costruito all’inizio del 1900 per alimentare l’espansione di Los Angeles e di complessi agricoli al posto del deserto, ha innescato una diminuzione del delta del Colorado River e la conseguente desertificazione in territorio messicano. Scopriamo che esistono città acquatiche in Cina per la produzione intensiva di frutti di mare o che le concerie in Bangladesh inquinano i fiumi senza alcun controllo, al fine dell’esportazione di pellame in Europa e Usa.
Non si tratta di un reportage, né di una ricerca per dimostrare una tesi ecologico-sociale decisa a tavolino. Baichwal e Burtynsky seguono le impronte dell’acqua, osservandone il viaggio e raccogliendo testimonianze, senza soffermarsi ad altezza occhi, ma salendo verso l’alto per poi immergersi sotto la superficie. Un lavoro che ricorda la forza visiva dei documentari di Peter Mettler (Picture of Light, The End of Time) e il risultato è un’esperienza cinematografica potente, realizzata attraverso immagini sbalorditive e incontri significativi. L’acqua, alla fine, nel suo perenne viaggio circolare dalla terra al cielo, dai fiumi al mare, ci unisce, ci avvicina e ci interconnette. E come dimostrano gli storici dell’acqua, analizzando i ghiacci sedimentati attraverso le ere geologiche, il mondo è in perenne trasformazione, ma l’acqua porta con sé l’impronta di quei cambiamenti. E se una volta la sua forza vitale ci condizionava, oggi che la possiamo domare abbiamo anche la responsabilità di valutare le conseguenze del nostro comportamento.
Scritto da Sara Sagrati.
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