Detour. Gare Du Nord: la recensione
La Gare Du Nord è una delle principali stazioni ferroviarie della capitale francese, crocevia di turisti e di pendolari, attraversata da un’umanità variegata: a questo melting pot di varie umanità la regista francese Claire Simon ha dedicato un dittico, composto da un documentario – Geographie Humaine – e da un film di finzione: Gare du Nord (appunto), già in concorso a Locarno nel 2013 e presentato al Detour Film Festival.
Come archetipo insegna, la stazione è uno dei luoghi d’eccellenza in cui si sfiorano storie ed esperienze diverse, oltre a essere luogo che offre grande varietà antropologica e sociale: insomma, la stazione è uno dei più tipici microcosmi che riassumono l’umanità in molte delle sue sfaccettature. Inoltre, è facile immaginare come “storie” potenzialmente compatibili non si incontrino giusto per il tempo di prendere un treno piuttosto che l’altro, e d’altro canto sono frequenti incontri decisivi avvenuti proprio tra i binari. Partendo da questi presupposti, Simon si pone l’obiettivo di offrire un riassunto antropologico di quella variegata e sfuggente comitiva umana filtrato dal tono intimista e melodrammatico portato da personaggi di finzione e dalle loro vicende.
La più importante è quella tra l’aspirante antropologo Ismael (Reda Kateb), che come tesi di laurea ha scelto proprio di studiare la stazione parigina, e la professoressa universitaria Mathilde (Nicole Garcia): vedendosi quotidianamente, tra i due scoppia prima la curiosità reciproca e poi l’amore. Il loro è l’intreccio principale che sostiene l’opera, intorno al quale girano le storie di Sacha e di Joan e intorno al quale corrono, compaiono e scompaiono – tra un treno e l’altro – tutte le altre apparizioni, comprese anche quelle dichiaratamente “metafisiche”.
Gare du Nord è girato in maniera elegante e impeccabile, con quella raffinatezza tipica di un certo tipo di cinema francese. I presupposti di partenza, inoltre, erano molto interessanti. Peccato che non siano stati sfruttati fino in fondo, e l’amalgama tra substrato documentaristico e scheletro fiction risulta riuscito solo in parte. il film, infatti, non rimane particolarmente impresso come documento, né emoziona a sufficienza come melodramma. Troppo distaccata e algida è infatti la vicenda amorosa tra Ismael e Mathilde per rimanere nella memoria e nel cuore, e le altre vicende messe in scena non hanno la forza necessaria per supplire a questo problema.
È come se Claire Simon fosse rimasta a metà del guado, indecisa e titubante su quale strada seguire e quale tono prediligere, sfruttando così solo in parte una buona occasione. Gare du Nord è un film più interessante per i presupposti che ne sono alla base, che per la sua effettiva riuscita finale.
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Scritto da Edoardo Peretti.