Detour. For Those Who Can Tell No Tales: la recensione
Il film di Jasmila Žbanic in concorso al Detour Festival 2014
Seguendo la pièce teatrale Seven Kilometres North-East di Kym Vercoe, Jasmila Žbanic decide di raccontare la storia di Višegrad, città della repubblica Srpska di Bosnia, attraverso lo sguardo straniero di una turista. Lo fa in due fasi: la prima leggera, estiva, con passeggiata sul ponte e sottofondo swing e la seconda tesa, invernale, con passi interrotti e pochi sorrisi. Nel suo primo viaggio in Bosnia Kym, seguendo i consigli della guida, prenota una stanza all’hotel Vilina Vlas, “un posto perfetto per una serata romantica” ma qui trascorre una notte inquieta. Solo al suo rientro a Sydney viene a sapere che in quell’hotel, nei primi mesi della guerra, furono violentate e uccise 200 donne, alcune delle quali si lanciarono dalla finestra per non subire altri abusi. Kym decide di ritornare a Višegrad ma non riesce più ad attraversare il ponte a piedi, pensando al sangue che scorreva ai tempi della guerra, nelle acque della Drina e sui sassi messi lì dai Turchi.
Il viaggio, soggetto del Detour Film Festival di Padova, nel film di Jasmila Žbanic trova molteplici declinazioni, aprendo una riflessione profonda sulle responsabilità del turista. C’è il viaggio di scoperta che porta Kym dall’Australia ai Balcani, in valigia Il ponte sulla Drina di Ivo Andric, la guida della Bosnia-Herzegovina di Tim Clancy e una videocamera. C’è il viaggio di ritorno, con le domande e le inquietudini. E di nuovo un viaggio verso ovest, stavolta per prendere coscienza, espiare e testimoniare. Kym conclude il suo viaggio con un rito di memoria che ha il colore giallo dei fiori recisi e con una vera e propria liberazione fisica, una danza liquida con un ballerino di strada. E’ in questo preciso istante che Kym smette di essere turista, non guarda più dal di fuori ma entra dentro le cose.
Lontano dal mostrare un turismo degli orrori, For Those Who Can Tell No Tales non è un film sulla guerra o sulla Bosnia ma, come sottolinea la stessa regista, “sul senso di responsabilità collettiva”. Raccontando una storia ancora oggi coperta dal muschio, il genocidio di Višegrad, Jasmila Žbanic apre una questione molto interessante sul tema del viaggio: in che rapporto deve relazionarsi il turista con la storia dei luoghi che visita? Per Susan Sontag basta avere una macchina fotografica per essere “turisti della realtà altrui e infine della propria”, per Werner Herzog il turismo è “un peccato mortale”, per Don DeLillo è “la marcia della stupidità” mentre Tiziano Terzani si augura il ritorno ai veri e unici viaggiatori possibili, i pellegrini. Per Jasmila la risposta è semplice: “non possiamo comportarci come turisti dove si è consumato un crimine contro l’umanità”. E’ in questa dimensione etica e politica che sta l’importanza di tutto il film – girato non senza difficoltà, sotto copertura e mentendo sia sul soggetto che sulla regia – e di tutto il cinema di Jasmila, “fucking beautiful difficult” come la Bosnia.
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Scritto da Giusy Palumbo.