Locarno 67. A Blast e altre recensioni
La 67esima edizione del Festival di Locarno sta, come tradizione pretende, offrendo uno sguardo di 360 gradi sul cinema del presente e del futuro, senza dimenticare il glorioso passato celebrato nella bella e ricca retrospettiva dedicata alla Titanus, che permette sia di rivedere capolavori conclamati e rifrequentare registi celebri (da Il Gattopardo a I Vampiri, da Dario Argento a Federico Fellini), sia di scoprire piccole grandi perle nascoste nella memoria del cinema italiano e autori non celebrati a dovere (da Zurlini a Pietrangeli, passando per La corruzione di Bolognini e I fidanzati di Olmi).
Nel Concorso Internazionale ad avere raccolto consensi forse più di altri concorrenti è stato A Blast di Syllas Tzoumerkas; il film greco racconta della crisi di una donna di mezz’età, crisi che investe tanto il privato quanto l’ambito professionale, e che inevitabilmente colpisce anche chi è in contatto con lei. Crisi che si si manifesta in attacchi isterici sempre più palesi e violenti, che costituiscono un climax di disperazione e di scoramento che avrà conseguenze notevoli. A determinare buona parte della condizione della protagonista è la situazione economica e sociale del paese, che il regista sceglie di lasciare ai margini del racconto. I riferimenti alla Grecia in ginocchio sono chiari e continui, ma anche accennati – spesso attraverso la voce di sottofondo di tele e radiogiornali – e mai invasivi. In questo modo è la condizione privata della protagonista a diventare perfetta e rabbiosa metafora dell’intera nazione, del suo declino verticale, ma anche della sua rabbia e della voglia di rialzarsi e ricominciare in qualche modo.
Interessante è anche Dos Disparos del cileno Martin Rejtman: partendo dal tentato suicidio di un adolescente, gesto improvviso e istintivo, non progettato, viene messo in scena il ritratto di un piccolo nucleo familiare perso nella quotidianità e nella noia, raccontato con uno stile posato e soprattutto con una corrente continua di umorismo laconico e di ironia sottile, che ricorda vagamente il tenore delle opere di Aki Kaurismaki. Il film diverte e riesce a dire la sua con estrema chiarezza, ma allo stesso tempo non decolla come avrebbe potuto a causa di uno stile risaputo e già visto tante volte – che, ovviamente semplificando, per chiarezza potremmo definire da “commedia da festival” – rimanendo una piacevole occasione sfruttata solo in parte.
Manca invece il bersaglio Paul Vecchiali con Nuits blanches sur la jetée, rivisitazione de Le Notti bianche di Dostoevskij. Il film si limita, con innegabile eleganza e raffinatezza, a riprendere, con la mdp quasi totalmente fissa, un sonnambulo e una ragazza che citano i dialoghi del romanziere russo incontrandosi ogni notte sul molo. “Cinema-teatro”, operazione che, probabilmente, intende riflettere sulla continua messa in scena dell’esistenza e sulle recite alle quali siamo costretti quasi quotidianamente, ma nella quale latita il primo termine della definizione, nonostante la bravura degli interpreti e l’eleganza della cornice. Senza dimenticare che il film lascia quel fastidioso sospetto d’intellettualismo vagamente ricattatorio e quella sensazione, tanto frequente in un certo tipo di cinema francese, di raffinata vacuità.
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Scritto da Edoardo Peretti.