Game of Thrones 4×07 – 4×08: la recensione
Ancora morti, anzi, morti eccellenti negli ultimi due episodi di Game of Thrones. In Mockingbird abbiamo perso Lysa Arryn, lanciata nel vuoto da Petyr Baelish, la cui complicità con Sansa nasce retroattivamente nell’episodio successivo. The Mountain and the Viper, ottava puntata della saga tratta da George R. R. Martin, ha un titolo abbastanza eloquente, e il pubblico lo sa: tra Vipera e Montagna ne resterà soltanto uno. Diciamo purtroppo addio a Oberyn Martell, dorniano ispanico e bisessuale giunto ad Approdo del Re per vendicare la sorella Elia. Duole ammetterlo, ma il suo epic fail è macroscopico. La morte, come sempre, la fa da padrona in Game of Thrones, mentre eroi e antieroi si fondono in personaggi di sempre maggior spessore, sfaccettando alcune personalità che avevamo dato per scontate.
Il Mastino Sandor Clegane, ormai da tempo ufficialmente buono, continua a guadagnarsi alcune delle scene migliori cavalcando per le campagne assieme ad Arya Stark. La coppia è protagonista di brevi intermezzi che punteggiano i due episodi con toni ora tragici, ora comici, facendoci sognare l’impossibile spin off che li vedrebbe protagonisti assoluti, e che potrebbe intitolarsi soltanto Fuck the King.
Ma quel re è già morto da tempo, caduto nel complotto ordito da Petyr Baelish. Al netto di questa quarta stagione ormai quasi terminata, viene da chiedersi come potevamo esserci dimenticati delle sue oscure trame: è pur sempre l’uomo che ha tradito e portato alla rovina l’intera casata Stark, nella persona dell’ingenuo Ned. È un dettaglio difficile da dimenticare mentre assistiamo alla trasformazione di Sansa in dark lady, o meglio ancora, in principessa delle tenebre – un po’ come Mia Sara in Legend di Ridley Scott (Mia Sansa?) – a confermare l’abitudine dei costumisti di palesare il passaggio al lato oscuro con l’abbigliamento in nero, possibilmente tendente al goth.
E se di anime nere si parla, non si può certo dimenticare Ramsay Snow, ora Ramsay Bolton, e il di lui perfido padre. I Bolton, una delle novità più interessanti delle ultime stagioni, sembrano a tratti i nuovi Lannister, ma la loro intima natura è quella di interpretare una versione al negativo degli Stark. Sono infatti uomini di quel Nord di cui Roose è diventato il protettore dopo Ned; e Ramsay, bastardo come Jon Snow, è una controfigura sanguinaria di Robb Stark, specialmente attraverso lo sguardo di Theon, ormai trasfigurato in Reek. Ed è Theon Greyjoy la chiave di lettura dei Bolton: ostaggio da una vita, prima nelle mani degli Stark, poi in quelle di Ramsay, ha tradito – da vero cattivo – la famiglia acquisita; ne ha bruciato il castello, per diventare poi un assassino di bambini. Devastato dalla sua stessa crudeltà, si è consegnato a un personalissimo girone infernale governato dalla mente sadica e geniale di Ramsay Snow, dove può finalmente espiare l’oscenità dei suoi peccati facendosi torturare e annullando la propria identità. Ramsay, dal canto suo, raccoglie lo scettro della cattiveria di Joffrey, ma la declina in chiave nordica: laddove Joffrey era in buona sostanza uno stupido, Ramsay è dotato di un’intelligenza perversa ma brillante, tanto quanto quella dello stratega naturale Robb Stark (caduto infatti per ragioni più mondane che di battaglia). Ramsay è figlio di un lord severo, che col suo sanguinario cuore di pietra ricorda più Tywin Lannister che Ned Stark; ma come Ned, Roose Bolton è capace di devozione anche verso il figlio bastardo (caratteristica che a Tywin manca anche nei confronti dei figli legittimi). Si profila insomma una situazione nella quale i Bolton avranno un ruolo determinante, incarnando alla perfezione il profilo di nuovi antagonisti degli orfani Stark.
Ma l’evento più importante di questi due episodi è senza ombra di dubbio lo scontro per la salvezza di Tyrion, nel quale Oberyn perde la vita, la testa e la faccia in una sola mossa. L’attesissimo duello è scandito al ritmo di quella che ha tutta l’aria di una citazione cinematografica. Le parole che Oberyn la Vipera Rossa ripete ossessivamente a Gregor Clegane aka la Montagna (“Elia Martell… L’hai stuprata, l’hai uccisa, hai assassinato i suoi figli!”) fanno suonare più d’un campanello a coloro che sono stati bambini durante gli anni ’80: come dimenticare La storia fantastica di Rob Reiner, e soprattutto Mandy Patinkin che recita alla nausea: ““Hola. Mi nombre es Inigo Montoya. Tu hai ucciso mio padre. Preparate a morir!”. Purtroppo per Oberyn, lo spirito di Game of Thrones è più nero del nero, e sia la Vipera Rossa sia la sua battuta subiscono un ribaltamento micidiale. Oberyn, a un passo dalla vittoria, viene schiantato al suolo dal guerriero più disumano mai apparso nel pure numeroso ensemble di condottieri malefici della serie; e ser Gregor, evidentemente seccato dall’eloquio dell’avversario, non gli risparmia una confessione oltremodo caustica, come a correggere il grido di accusa del dorniano: “Elia Martell… Ho ucciso i suoi figli… Poi l’ho stuprata… Poi le ho sfondato il cranio… Così!”. Saranno queste le ultime parole mai udite da Oberyn Martell, la Vipera Rossa.
E così, mentre i bruti si preparano all’attacco e Tyrion assiste sconvolto alla propria condanna a morte, inflittagli dal suo stesso padre, si chiude nell’ennesimo lago di sangue l’ottavo episodio del nostro amatissimo Game of Thrones. Arrivederci alla prossima puntata, al freddo della Barriera!
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