AltrodiBlogger Erranti,20 Marzo 2014
Verso Medea: la recensione
In fila, schierate sul bordo del palcoscenico, le donne di Corinto. Cinque attori maschi coperti di vesti nere che ci parlano di assenza, di morte, di terre aride. Aride come i ventri improduttivi di cinque zitelle “acide e invidiose”. Aride come Corinto, che non ha più figli e che fra poco sarà teatro di un orribile infanticidio. La Medea di Emma Dante, in scena all’Auditorium Parco della Musica, è un canto di disperazione e un ballo dionisiaco.
La nenia è quella dei fratelli Mancuso, che dal buio che precede l’ingresso dei personaggi intonano canti laceranti che anticipano la tragedia, annunciando e cullando il dolore di una donna abbandonata e straniera. La musica e il canto inframezzano lo spettacolo, intervengono a mo’ di coro greco più che per commentare l’azione, per esprimerla in musica, in lamento. A commentare la viltà di Giasone, a consolare la follia di Medea è un altro coro, questo sì di impostazione greca, delle donne-uomini di Corinto, delle signorine sfiorite e desiderose che litigano fra loro come smargiasse dei bassi napoletani.
La danza è quella di Medea, una materica e sensuale Elena Borgogni, che si contorce provocante e scaltra per sedurre il re Creonte ed evitare l’esilio. È la danza rabbiosa e violenta che la pazza di Corinto indirizza contro se stessa, contro quel ventre rigonfio di sciagura e risentimento e contro Giasone, il codardo, il seduttore che, nella concezione della Dante, è uno sciupafemmine in paillettes, pieno di sé, bello ma stupido. E infatti è proprio lui a sottolineare più volte l’intelligenza di Medea, di tutte le donne che, disperate e sprovviste di amicizie e di mezzi, fanno tesoro dell’unica risorsa: una forza misteriosa e oscura capace di ogni cosa.
La Medea di Emma Dante è pienamente una delle sue donne: vittima e carnefice, perdente e trionfatrice, passionale nell’esporsi al sacrificio e all’eros e fredda nella propria determinazione. Il testo è prosa pura, racconto, enunciazione: esclusi il parto e l’infanticidio, l’amore di Medea e Giasone, l’avvelenamento della figlia di Creonte sono episodi riportati dalla parola una volta disperata e una volta cantata di Medea e delle donne di Corinto. L’azione è movimento, scalpitio, contorsione, grido, corpi che si scontrano, che si avvinghiano. È sangue e carne. Come il teatro di Emma Dante che ormai ritroviamo sempre troppo fedele a se stesso, rischiando di non stupire più.
Scritto da Vera Santillo.
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