Thor – The Dark World: la recensione
Un Dio del Tuono supermacho improntato sulla commedia
Per la barba di Odino, ecco Thor – The Dark World, secondo appuntamento con la Fase 2 dell’Universo Marvel, nonché seconda avventura in solitaria sullo schermo del Dio del Tuono. Qui Thor dovrà vedersela con un vecchio nemico di famiglia, il cattivissimo elfo scuro Malekith, che è intenzionato a far sprofondare i Nove Mondi nell’oscurità.
Nonostante le premesse del titolo e della trama, non c’è nulla di dark in questo roboante ma inconsistente cinecomic, che vorrebbe collocarsi, senza riuscirci, sulla linea stilistica tracciata da Joss Whedon con i suoi Avengers. Questa volta si può contare sulla regia di un dignitoso professionista proveniente dal piccolo schermo, quell’Alan Taylor che ha diretto numerosi episodi delle prime due stagioni di Game of Thrones, e che dà conferma di un discreto talento nel girare scene di masse e di battaglia sullo sfondo di un’ambientazione fantasy, con una predilezione per le riprese aeree: sul piano visivo, piuttosto riuscite appaiono la sequenza dell’assalto ad Asgard da parte delle forze elfiche e quella, abbastanza suggestiva, del funerale asgardiano, nella quale la solenne colonna sonora di Brian Tyler raggiunge il suo apice.
Peccato che la potenza evocativa delle immagini contrasti con una sceneggiatura esageratamente improntata su toni da commedia, che smorza in modo imperdonabile il pathos della vicenda. Va bene non prendersi troppo sul serio, ma Thor non è Tony Stark, eppure la sua miticità viene messa a dura prova da un copione che ne fa una sorta di supermacho innamorato (cui si adegua l’interpretazione scanzonata e frivola di Chris Hemsworth), con il risultato che il fratello Loki (un Tom Hiddleston di maniera), promosso da villain a co-protagonista, ma comunque ambiguo, finisce per rubargli la scena. Se gli spunti di umorismo offerti da quest’ultimo, per quanto troppo reiterati, funzionano (soprattutto nella serie di trasformazioni alle quali si sottopone), altrove la ricerca della risata a tutti i costi supera i limiti di saturazione: troppo spazio viene infatti lasciato agli insopportabili personaggi dello svitato professor Selvig (uno Stellan Skarsgard che sembra farsi beffe delle sue interpretazioni nevrotiche nel cinema di Lars Von Trier, nudità incluse) e della stagista svampitella Darcy (Kat Dennings), mentre la battaglia finale per le strade di Londra, con Mjolnir che svolazza a vuoto per i cieli della città, è orrida, confusa e non ha nulla di epico.
Più in generale, si ha l’impressione che si sia voluto insistere troppo sulla componente umana di Thor, rappresentata dall’invadente storia d’amore con Jane Foster (una Natalie Portman brava a riprodurre la fragilità e l’insicurezza di un personaggio fondamentalmente insulso) a discapito di quella divina (con lo stesso Odino/Anthony Hopkins che, in una frase, nega l’immortalità del suo popolo). Non a caso, a parte il carismatico Heimdall ritratto dalla garanzia Idris Elba, i comprimari asgardiani sono ancora meno sviluppati che nel Thor di Branagh; in particolare, a farne le spese è la Sif di Jaimie Alexander, i cui sentimenti nei confronti del protagonista (e l’eventuale rivalità con Jane) restano solo abbozzati. Pessimi, nonché lontani dalle controparti fumettistiche, i nemici: un Christopher Eccleston sottotono nella parte di Malekith e un Adewale Akinnuoye-Agbaje seppellito dal makeup di Kurse.
Un cinecomic gravemente insufficiente, lontanissimo dal perfetto equilibrio fra azione e umorismo degli Avengers whedoniani. Ah, occhio alle post credits-scene: ben due, ma una sola degna di nota ai fini della continuity.
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Giacomo B. | ||
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