You’re Next: la recensione
Aria di casa nel film di Wingard: sangue e ironia, visti e da rivedere
In You’re Next di Adam Wingard, il problema non è tanto indovinare chi venga a cena, quanto capire chi, non invitato, te la rovini prendendo a frecce in fronte i tuoi ospiti e tagliando la gola ad altri. I commensali ospiti a casa Davison, nella classica villa circondata da ascosi boschetti, non hanno nemmeno il tempo di pensare al digestivo, quando fuori c’è un team di assassini con maschere animalesche pronti a cucinarsi gli agnelli sacrificali. Qualche lupo, forse, c’è anche dentro; ma di sicuro c’è anche un inatteso pastore del gregge familiare, l’innocua Erin (Shami Vinson), nuora dal placido aspetto di brunetta casalinga e sorprendentemente aggiornata su tecniche di autodifesa. Proverà a fare la paladina, mentre da fuori cercano d’impallinare tutti uno a uno.
HOME BLOODY HOME – Con questo film i fan del gore fiuteranno odore di sangue e aria di casa, vista l’inondazione dei cliché, a partire dalle infinite stupidaggine alle quali grideresti disperatamente “non farlo!”, tipo fughe nei boschi, pericolosi sparpagliamenti, inutili richieste di soccorso a vicini morti e stramorti e affini. Considerato il calcolato, godurioso finale, con ciliegina sul grandguignol (ci si consenta l’espressione, vista la similarità tra amarena e sangue finto), colpi di coda e ameni titoli di coda, si può tranquillamente convenire sulla volontarietà delle manipolazioni da parte del regista, un maestro (giovane, classe ’82) nella variazione sul tema, come dimostrano tanto il primo V/H/S (in cui è stato regista e sceneggiatore) quanto il secondo (ove torna per un episodio, tra marketing e benedizione morale del progetto). Quello che è stravecchio, insomma, non deve prendersi troppo sul serio, e/o deve sfilacciarsi in un infinito gioco di sottili trasformazioni. Il filone home invasion, che di recente abbiamo visto anche nel fin troppo serioso La notte del giudizio di James DeMonaco, viene rinsanguato da una scelta drastica, ma intelligente: quella di puntare tutte le fiches sulla tensione, con un’esecuzione compatta e ordinata (prologo secco e già insanguinato, un paio di ritratti di famiglia dall’interno, la caccia all’uomo), senza indugiare troppo sulle beghe familiari, ma allo stesso tempo senza appiattire del tutto i personaggi. Serve il loro sangue, non il loro cuore: ma le sagome di cartone non sanguinano…
FRATELLI (E) COLTELLI – E così, la home sweet home è un posto dove coltivare le tensioni, ma non per questo diventa, tout court, la sede di uno dei tanti drammucoli moccolosi cui si accenna nei vari horror vecchi e nuovi, tanto per dirne due, a proposito di abitazioni: Hates – House at the end of the street con Jennifer Lawrence (troppi superflui patemi, quando si ha un’attrice così talentuosa), e il remake de La casa di Fede Alvarez, dove spuntano persino azzardi psicanalitici. Sono due le scene più significative in questo senso: la prima è quella della freccia dell’assalitore che colpisce il quadretto familiare, un bersaglio divertito, come a dire che quello che conta è spaccare i vetri di superficie e lesionare le pelli, fisicamente; la seconda è quella in cui si congegna un’improbabile sortita all’esterno per chiedere aiuto, facendo mente locale su chi sia il più veloce (come se bastasse Bolt per sfuggire a un criminale con arma da tiro), e un fratello dice all’altro, col quale si è sempre beccato per invidia: “non hai mai corso, chiattone“. Parenti serpenti, insomma, e non sorprende che la famiglia covi, come prevedibile, una serpe in seno. E il seno ci piace: intendiamo dire il contesto, il cast nell’insieme, la situazione, in cui non spiccano, com’è giusto che sia per il genere, iniziative iper-drammatiche e personaggi sopra le righe.
Il tutto si completa con un duplice schieramento di gadget: da un lato quelli dell’autodifesa e dell’attacco, oscillanti tra cacciaviti, travi chiodate, coltelli e kit dell’arrotino; dall’altro, quelli tecnici del regista, con inquadrature di sbieco, close up disturbanti che scombussolano il controllo del campo visivo, variazioni caldo/freddo della fotografia, set-labirinto. Tutto già visto, ma non importa se è tiepido: come quando, altra astuzia ironica, Erin lancia l’acqua messa a bollire contro l’infiltrato, e questi replica: “Non è nemmeno calda, troia“. I trucchi, insomma, li conosciamo, e bene: ma ancora riscaldano allorché quest’aria di casa – cinematografica – è vissuta con ironia e controllo, come fa Wingard quando, da regista cinefilo, sembra riavvolgere con piacere il nastro di vecchi VHS dell’orrore.
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Alice C. | Giacomo B. | Giusy P. | ||
4 | 6 | 6 |
Scritto da Antonio Maiorino.