Venezia 70. L’Intrepido: la recensione
Antonio Pane, protagonista a Venezia 70 de L’intrepido di Gianni Amelio, è un precario dalla morale di ferro: divorziato e con un figlio, di mestiere rimpiazza chiunque sia impossibilitato a lavorare, anche a ore. L’uomo cerca inoltre di affrontare la crisi con ottimismo a palate, per se stesso e gli altri; quasi un “angelo buono” che appare e scompare nel momento del bisogno.
Gianni Amelio cuce su Antonio Albanese un personaggio simile allo Charlot di Tempi Moderni e cerca di descrivere l’Italia della crisi con ironia e lirismo, sullo sfondo di una Milano imponente messa in contrapposizione alla realtà economica del paese. Punto di partenza interessante, ma che si perde in una sceneggiatura manichea e stereotipata, con il boss mafioso e cattivo, la ragazza depressa e il figlio artista (sconvolto perché nessuno ascolta), piena zeppa di frasi medie da fiction RAI, “La fame è una brutta cosa, l’appetito aiuta“.
L’ottimismo infuso dal protagonista risulta quindi banalotto, eccessivo e fastidioso: non serve a trovare il coraggio per combattere la crisi, piuttosto ad accettarla (Cosa fa Antonio per cambiare la sua situazione, a parte dispensare massime di saggezza qua e là?). Insomma, a l’intrepido Antonio Pane si fa molta fatica a voler bene, troppo buono (e quindi automaticamente antipatico) per essere verosimile; con buona pace di Amelio, affettuosamente ispirato all’eroe fumettistico della sua infanzia.
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