Horror Ketchup – L’ultimo esorcismo: la recensione
Il primo film era un bidone. Il secondo ci libererà dal male
L’incubo è tornato: arriva nelle sale The Last Exorcism – Liberaci dal male di Ed Gass-Donnelly (18 luglio), parte seconda del fortunato (ai botteghini) L’ultimo esorcismo, che portava però la firma in calce, o in zolfo, di un altro regista, il tedesco Daniel Stamm. L’incubo è tornato, dicevamo: nel senso che la paura era che questo secondo capitolo potesse essere all’altezza, pardon, alla bassezza del primo. Per fortuna la maledizione della mediocrità è stata infranta, il canadese Gass-Donnelly ha saputo abitare ben altro girone infernale, di quelle villeggiature dello sguardo del cinefilo horror che sono decisamente più gradite. Ne parleremo a breve, intanto la nostra damnatio memoriae si rivolge al primo film, che consigliamo di vedere/sorbire per avere più chiara la situazione del secondo. Lo si consideri un contrappasso.
47 – ESORCISTA CHE FILMA – Già, perché L’ultimo esorcismo di Daniel Stamm, che pure parte della critica intese battezzare come un prodotto riuscito, resuscitando paragoni blasfemi con The Blair Witch Project, era purtroppo un film bislacco, con tutti i crismi della bislaccheria: uno su tutti, l’essere pretenzioso nonostante apparisse chiaramente una diabolica operazione commerciale. Il gioco era scoperto: si veniva invitati all’ennesimo sabba in formato mockumentary, sull’onda dei vari Rec e Paranormal Activity, con una spruzzata de L’esorcista che non guasta mai. La storia è quella del Reverendo Cotton Marcus, figlio d’arte, esperto di esorcismi fake, ossia manipolazioni mentali a suon di illusionismi con cui guarire le presunte possessioni di genuini credenti, a suo dire semplici turbe mentali. Dopo 47 esorcismi, decide di appendere la Bibbia al chiodo santo, filmando l’ultima performance. Indovinate cosa succede.
MOCKERY O MOCKUMENTARY? – E a proposito di ingenui credenti: la sensazione è che oggi l’industria cinematografica dell’horror faccia uso del formato falso documentario come abile illusionismo pubblicitario, vendendo pellicole a fustini, con registi spesso distratti e tutt’altro che inclini a sfruttare le potenzialità dell’abito visivo. Se a Paranormal Activity, altra macchina sforna-biglietti, il giochino economico è sempre riuscito e quello artistico ha conosciuto oneste, alterne fortune, mentre Rec è stato un fenomeno qualitativamente incomparabile, molti horror indipendenti (su tutti,V/H/S, di cui è appena uscito l’ottimo secondo, ed Evidence, evidentemente ignorati dalla critica) hanno dimostrato che il low budget non è solo il pretesto per fare soldi a palate, ma anche un mezzo per aguzzare l’ingegno e trovare interessanti soluzioni per avvincere lo spettatore. L’ultimo esorcismo di Daniel Stamm, purtroppo, mostrava un uso del mockumentary che trapassava in mockery, parodia (involontaria) e presa in giro: la videocamerina veniva accesa anche quando dal punto di vista della storia era evidente il fatto che non servisse a nulla, abusando della sospensione dell’incredulità.
ZINGARATE CON LO ZINGARELLI – Trait d’union tra il primo ed il secondo film è la presenza della giovane posseduta, Nell, interpretata da una virginale Ashley Bell, trascinata in un incubo tipo Rosemary’s Baby, col demone Abalam che cerca di insidiarla e tanto di sacerdoti del Male che officiano nell’ombra. Se anche l’interpretazione di Patrick Fabian nei panni di Cotton è convincente, è l’impalcatura complessiva che non regge: repentini cambi di passo che sembrano piuttosto maldestri inciampi del racconto, persino una profezia interna che altro non risulta, nelle ultime battute, che un prevedibilissimo spoiler interno (!), ma soprattutto una scena di esorcismo che rasenta il comico, fatta di qualche contorsione e un duello verbale, al punto da risolversi semplicemente con Cotton che, attaccandosi a un cavillo, ossia a una parola pronunciata dall’indemoniata, la libera in quattro e quattr’otto, o così pensa di aver fatto. In tema di “quattro”, un azzeccagarbugli da quattro soldi, anziché un vero esorcista; e similmente, il film è un raggiro linguistico, nella lingua delle immagini, come fece intuire anche la vicenda pubblicitaria.
AI POSTER L’ARDUA SENTENZA – Meno di due milioni di dollari di budget e 67 milioni di dollari incassati worldwide: è il commercio, bellezza, e ha venduto l’anima al diavolo. Ma che non ci sia niente di male nel capitalizzare le buone idee, lo dimostra il secondo film, quello in uscita il 18 luglio col titolo The Last Exorcism – Liberaci dal male: che pure incasserà molto, ma sul quale non avremo da ridire, dopo averlo visto in anteprima, considerando il dignitoso livello conseguito grazie all’ottima Ashley Bell e alla rinvigorente conduzione del canadese Gass-Donnelly. Ma che L’ultimo esorcismo fosse una furbata, e nulla più, lo fece annusare la questione del poster nel Regno Unito. L’immagine era quella di una giovane ragazza con il vestitino intriso di sangue, piegata all’indietro sotto un crocifisso. Si scatenarono le proteste ufficiali, specie per la sensazione che la ragazza avesse subito qualche forma di violenza sessuale; sicché l’Advertising Standards Agency stabilì che l’immagine non potesse essere usata per manifesti pubblici, ma nei magazine era consentita. Si aggiunga la campagna virale con la ragazzina che si sbottonava il vestitino e poi diventava un mostro: ma soprattutto se ne consideri il contesto, ossia il sito di video-chat Chatroulette. Le reazioni furono queste.
E poi venne il giorno del film. Una storia orrenda, più che dell’orrore. Ma Gass-Donnelly ci libererà da male, anche se non potrà fare niente contro gli altri fake a low budget che continueranno a circolare, riempiendosi la bocca di “diavolo” o “esorcismo”, riempiendo le sale di donnine piangenti, riempiendo i poster di donnine. Ri-empi, nel senso di empi di nuovo, ancora e sempre.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Scritto da Antonio Maiorino.