Annecy 2013: Monsters University e altre recensioni
Un clima di festa ha contrassegnato il Festival di Annecy 2013: studenti e professionisti con zaini colorati in giro per la città; “rapper” improvvisati sulle note del teaser d’apertura, e aeroplanini di carta in volo per le sale cinematografiche. Monsters University, Cattivissimo Me 2, cortometraggi: ecco il nostro diario.
Monsters University di Dan Scanlon
Sin dai primi minuti, Monsters University trascina lo spettatore nel vivace universo di Mostropoli, coi suoi curiosi personaggi e il suo ritmo cadenzato. La dilagante comicità rende il film forse più appetibile al pubblico giovane, non dimenticando però di strizzare l’occhio allo spettatore più smaliziato. L’incalzante serie di gag è sorretta da una solida sceneggiatura, vera spina dorsale del film, nonostante una certa classicità di fondo. La vicenda, infatti, segue un modello assai noto e, pur dimostrando un’ottima gestione della narrazione, con ritmi frenetici e pause sapientemente uniformati, non riesce a superare certi schemi forse un po’ abusati. Chiaro e forte è il richiamo, spesso parodistico, al mondo universitario americano, coi suoi molteplici cliché resi in gran parte noti al pubblico europeo dal grande schermo. Confraternite, iniziazioni, bulli palestrati e nerd sovrappeso sono gli stereotipi più conosciuti del genere, rielaborati in questo caso in chiave mostruosa. La commistione fra i due filoni è ben calibrata, ed offre la possibilità agli autori di dar libero sfogo alla creazione di una moltitudine di comprimari. L’elaborata caratterizzazione dei personaggi secondari, davvero molti, rende infatti ancor più interessante la visione, arricchendola di piccole sorprese, e trasformando l’avventura di Mike e Sully in un vero e proprio film corale.
Cattivissimo Me 2 di Chris Renaud e Pierre Coffin
Tecnicamente impeccabile, frutto anche di un buon uso del 3D stereoscopico, Cattivissimo Me 2 si adagia troppo sul successo del primo film, senza accompagnare all’aggiornamento tecnologico nuovi contenuti. La trama, molto lineare, segue uno schema eccessivamente abusato, risultando troppo prevedibile. I colpi di scena sanno di già visto, e la visione risulta priva di sorprese, appiattendosi eccessivamente. Le molte gag, su cui chiaramente gli autori puntano, non risultano particolarmente divertenti, essendo prive di qualsiasi novità rispetto al primo film. Gli onnipresenti minions sono ormai i veri protagonisti della pellicola, tanto che si parla già di uno spin off: perfettamente caratterizzati, con il loro linguaggio incomprensibile, i buffi ometti gialli sono l’unica, genuina, fonte di comicità di questo sequel. Il buon lavoro di caratterizzazione svolto sui personaggi, vecchi e nuovi, riesce a comunque a tenere a galla il film.
Legends of Oz: Dorothy’s Return di Daniel St Pierre e William Finn
Ennesima trasposizione cinematografica del romanzo cult di Lyman Frank Baum, Legends of Oz: Dorothy’s Return cerca di cavalcare l’onda lunga del film di Sam Raimi, proponendo un nuovo, alternativo, scenario delle avventure della giovane Dorothy Gale. Ritornata in Kansas dopo l’uragano, Dorothy viene immediatamente richiamata a Oz dallo Spaventapasseri, per fronteggiare, insieme agli altri amici, un nuovo, imminente pericolo. La vicenda cerca di ricalcare in tutto e per tutto la storia originale, inserendo piccoli episodi alternativi. La narrazione è quindi fin troppo scontata e risulta, fin dai primi minuti, incredibilmente prevedibile. Nonostante alcune idee interessanti, la caratterizzazione dei nuovi personaggi rimane abbastanza superficiale, troppo sbrigativa e priva di un vero e proprio approfondimento. Oltre a questo, il gran numero di personaggi porta con sé una quantità di problemi tecnici, difficili da fronteggiare per una produzione di fascia media. Molti, forse troppi, sono i personaggi, animati in maniera davvero poco naturale, a cominciare dalla protagonista: fa eccezione solo il villain di turno, il misterioso Joker, su cui si è scelto di riversare buona parte degli sforzi produttivi. Nonostante l’indubbio impegno, si ha quindi la sensazione di trovarsi di fronte a un prodotto confezionato con poca attenzione, che si rivolge chiaramente ad un pubblico di famiglie, poco attento alle finezze tecniche e narrative, ma che non va oltre la soglia della mediocrità.
Get a Horse! di Lauren MacMullan
Dopo una lunga attesa, il cortometraggio Disney Get a Horse! ha visto finalmente la luce al festival, in anteprima mondiale. La forte campagna pubblicitaria e l’alone di mistero che aleggiava intorno al presunto ritrovamento di un quarto cortometraggio musicale (dopo Steamboat Willie, Plane Crazy e Gallopin’ Gaucho) negli archivi Disney ha contribuito a far crescere l’attesa. Spoiler Alert: se non volete rovinarvi la visione del corto, probabilmente in uscita con uno dei prossimi film Disney, ne sconsigliamo la lettura. Ispirato ai classici cortometraggi Disney degli albori, Get a Horse! coniuga magistralmente animazione 2D e 3D in un mix nuovo e incredibilmente coinvolgente. Quello che può sembrare un semplice cortometraggio in bianco e nero si trasforma ben presto in un vivace inseguimento dentro e fuori lo schermo cinematografico, in cui i nostri eroi cercano di rientrare ad ogni costo. Il 3D stereoscopico è, in questo caso, incredibilmente riuscito, vero e proprio valore aggiunto alla visione che, in assenza, perderebbe in qualità e coinvolgimento. Il fascino della tradizione si fonde con la perfezione tecnica, riuscendo a stupire ed emozionare, nonostante l’apparente banalità della vicenda. Per i curiosi, il titolo è ispirato ad un’espressione tipica dei primi del ‘900: quando ancora le automobili erano scarse, e si guastavano spesso, i vetturini di carri e calessi la usavano per schernire gli automobilisti in difficoltà. Un corto veramente imperdibile, che apre a numerose nuove integrazioni fra disegno e immagine digitale, e che speriamo arrivi presto al cinema.
Ma Maman Est en Amérique, Elle a Rencontré Buffalo Bill di Marc Boréal e Thibaut Chatel
Presentato in concorso, Ma Maman Est en Amérique, Elle a Rencontré Buffalo Bill è un delicato ritratto dell’età infantile, con le gioie e i dolori tipici del periodo della formazione. Anni ’70: il piccolo Jean, sei anni, frequenta il primo anno di scuola. Non sa ancora leggere e scrivere, ma porta già con sé un enorme fardello, che stenta ad accettare. Colori caldi e uno stile grafico tipicamente francese, che richiama Hergé, rendono questo film assai gradevole al pubblico più giovane, cui è indirizzato. La difficoltà a relazionarsi con gli altri, l’elaborazione del lutto e la mancanza di comunicazione con il mondo degli adulti sono i temi salienti che il film si propone di trattare, mediante un linguaggio chiaro e diretto. L’eccessiva semplicità rischia però di rendere l’opera poco adatta al grande pubblico, e di relegarla alla categoria “per famiglie” con cui troppo spesso si etichettano i prodotti animati. A un’assoluta semplicità tematica, non viene infatti affiancata una giusta stratificazione dei contenuti, né una corretta elaborazione dei personaggi. Troppo abbozzati risultano i comprimari: fatta eccezione per i due protagonisti, tutti gli altri personaggi rimangono relegati sullo sfondo, quasi delle semplici comparse. La ripetitività di certe sequenze provoca poi un certo calo di interesse per la vicenda che, pur riscattandosi nella parte finale, grava eccessivamente sulla visione. Un film gradevole, nonostante una certa convenzionalità, e a tratti persino emozionante.
Cortometraggi in competizione
Tra i tanti corti in competizione, fatti da registi più o meno affermati, finora spiccano Feral del regista e animatore Daniel Susa, che con forza narrativa e una tecnica chiaroscurale racconta dell’istinto naturale. Accolti da numerosi applausi Betty’s Blues, che con una coinvolgente e ritmata musica ci trascina in una storia di amore a vendetta, ma anche Lettre de femmes, decisamente più poetico e metaforico, in cui uomini di cartapesta vengono letteralmente salvati dalle lettere inviate dalle proprie amate. Decisamente uno dei migliori, Mademoiselle Kiki et les Montparnos, narra la vera storia di Kiki de Montparnasse, modella, musa e amante di celebri artisti del XX Secolo, con tantissime citazioni artistiche e uno stile cangiante che scandisce i vari momenti della storia di questa donna bella e intraprendente. La paura invade ogni aspetto della vita degli abitanti di un villaggio nella La Grosse Bete, una favola triste, ma ben raccontata con uno stile asciutto ed essenziale. Altra favola dark degna di nota é Obida, che narra la crescita di una bambina sola e triste in compagnia di un mostriciattolo, metafora del suo rancore nei confronti del mondo che la circonda. Tra i più sperimentali spicca l’ultima clay animation di Izabela Plucińska, Liebling, che mette magistralmente in scena i sentimenti di alienazione e perdita di identità di una donna che ripercorre con la memoria il suo passato. Il suggestivo Boles racconta attraverso un ottima stop motion una storia dai toni surrealisti su uno scrittore in crisi che trova le parole nel posto più inaspettato. Altro viaggio caotico nei meandri della memoria, Subconscious Password é l’ultimo, divertente e folle prodotto del visionario Chris Landreth, già noto a molti per il pluripremiato Ryan, in un susseguirsi di citazioni culturali e personali.
Film di diploma in competizione
In questa importante categoria rientrano tutti i lavori di fine anno degli studenti di varie scuole di animazione da tutto il mondo. Tra quelli visti, l’ottimo corto, magistralmente diretto e animato, degli studenti dell’Edimburgh College of Art, che hanno dato vita al toccante I Am Tom Moody, un surreale viaggio nel subconscio di un musicista represso che lotta con sé stesso per trovare la forza di cantare. Sulla semplice idea di un paese molto ventoso fa perno Wind, ricco di personaggi e situazioni umoristiche. Infine, Vie et mort de l’illustre Grigori Efimovitch Raspoutine, come il titolo stesso annuncia, percorre, con una veloce “carrellata” ben orchestrata, la vita del monaco Rasputin, noto personaggio storico.
Film di commissione
In questa categoria sono selezionati alcuni dei migliori filmati, che siano spot, sigle o videoclip, realizzati per una committente. Commissionato dalla PETA, People for the Ethical Treatment of Animals, l’angosciante Do Not Impose on Others in cui dei bellissimi animali sfilano in una passerella con addosso dei vestiti di pelle umana, una risoluta opposizione contro l’uso delle pellicce. La routine e la ripetizione di una vita noiosa e sempre più frenetica sono i temi di Easy Way Out, videoclip del cantautore belga Gotye, che armonizza splendidamente elementi in stop motion e in live action. Nella selezione non potevano mancare, inoltre, Rollin’ Safari, quattro divertentissimi spot realizzati dagli studenti della Filmakademie Baden-Wuerttemberg per promuovere il festival di Stoccarda, in cui animali selvaggi fluttuano nella savana come palloni gonfiati. Infine The Day Pilsen Struck Gold, racconta con uno stile delicato e suggestivo la storia dalla Pilsner Urquell, il noto marchio di birra.
Si chiude qui il nostro diario dal Festival di Annecy 2013. Arrivederci alla prossima edizione!
Scritto da Leonardo Ligustri e Margherita Clemente.
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