Le Streghe di Salem: la recensione
Rob Zombie tra trip d'autore e romanticismo al neon
“Radio has changed our lives and practically saved our lives“. Si apre così Dead City Radio And The New Gods Of Supertown, l’ultimo singolo di Rob Zombie. Il musicista e regista, all’anagrafe Robert Bartleh Cummings, è in uscita ad aprile contemporaneamente con l’album Venomous Rat Regeneration Vendor e in sala con il film The Lords of Salem (per la distribuzione italiana insolitamente femminista il titolo è Le Streghe di Salem).
Anche qui è la radio che cambia (se la salvi a voi il giudizio) la vita di Heidi (Sheri Moon Zombie), dj nella radio locale di Salem, Massachusetts, nota per l’alta densità di streghe non solo nel Seicento, stando alla versione di Rob Zombie. Il film si apre con un flashback che ricorda la vecchia storia di caproni, denti marci e roghi per avvisarci che le streghe son tornate (tremate, tremate).
Dicevamo la radio. E’ durante la diretta dello show di Heidi e i suoi amici Whitey (Jeff Daniel Phillips) e Munster Herman (Ken Foree) che la dj riceve una scatola di legno contenente un vinile “dono dei Lords”. E la maledizione ha inizio.
Da Venere in pelliccia – bellissimi i suoi outfit anni Settanta – a tossica in mutande, Sheri Moon Zombie vive il suo abbandono a Satana attraverso il disfacimento del corpo, progressivamente indebolito e appesantito dalla chioma dreadlock. La trasformazione culmina, nell’exploit visionario di Rob Zombie, in una versione di Madonna iper pop al neon.
Visionario, assieme a weird, è l’aggettivo più abusato per descrivere l’ultima fatica di Rob Zombie, che stavolta, libero dalle imposizioni mainstream e con un budget molto più ridotto – i delusi da Halloween cambieranno idea – da’ completo sfogo alla sua estetica malata (e vegetariana visto il poco sangue che scorre), in un accumulo ora onirico – corpi nudi con teste di maiale, croci rosse al neon – ora blasfemo – la fellatio al prete, il papa che si masturba assieme ai preti-demoni – ora kitsch – Heidi che cavalca il caprone in ralenti – senza mai essere eccessivo o noioso.
Non c’è la sporcizia de La casa dei 1000 corpi, né la polvere de La casa del Diavolo, ma la luce a disegnare i contorni distorti della pellicola più autoriale di Zombie. Diverso dalle sue pellicole precedenti, The Lords of Salem è pura contemplazione del male con cui Zombie realizza, come suggerisce Claudio Bartolini su FilmTv, il suo “inland empire, il suo luogo franco nel quale liberare antimateria” o addirittura, come scrive David Edelstein per Vulture, il suo To the Wonder (che diventa To the Horror).
Lentezza, dettagli e location devono molto a Kubrick, così come il delirio visivo e la musica possessiva ricordano The Devils. Del resto è Rob stesso a togliere ogni dubbio, descrivendo il suo film come “Shining girato da Ken Russell”. Le citazioni non finiscono qui, da Polanski a Bava, da Fulci a Hardy, fino alle psichedelie più underground. Molti anche i volti noti del cinema horror, da Meg Foster (Essi vivono) a Patricia Quinn (The Rocky Horror Picture Show), da “Captain Spaulding” Sid Haig a Ken Foree (Dawn of the Dead). Tutti a servizio del ministro Zombie (gli attori conoscevano solo le loro parti di sceneggiatura per non compromettere la suspense), che al Diavolo preferisce la Madonna ovvero sua moglie Sheri Moon, protagonista assoluta di un film a suo modo romanticissimo.
Fidatevi di Mr. Zombie:
“Mi piacciono i film che hanno un respiro, che si prendono del tempo. Uno dei miei preferiti è Professione Reporter, in cui Jack Nicholson passa una mezz’ora cercando di spingere la sua auto fuori dalla sabbia. Spero che il mio pubblico sia paziente con The Lords of Salem. A volte non tutto è come sembra essere”.
The Lords of Salem sarà distribuito da Notorious Pictures nelle sale italiane a partire da mercoledì 24 aprile, vietato ai minori di 14 anni. Rob Zombie però non sta fermo ed è già a lavoro al suo prossimo film Broad Street Bullies, ambientato nel mondo dell’hockey degli anni ’70. Pare che sulle divise dei Philadelphia Flyers scorresse parecchio sangue.
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Antonio M. | Davide V. | Irina M. | ||
7 | 7 | 1 |
Scritto da Giusy Palumbo.
Disturbante è la parola giusta. A differenza dei tipici horror attuali, in cui il terrore si condensa in pochi sobbalzi sulla poltrona indotti da apparizioni improvvise ma in fondo scontate, qui il terrore è diffuso, progressivo e penetrante, e anche se lo spettatore immagina cosa accadrà ai personaggi, è la preparazione a quell’evento a renderlo davvero angosciante. Sembra di subire una tortura, fisica e psicologica, senza via d’uscita.
Con Lynch (il Lynch più introspettivo, quello di INLAND EMPIRE per intenderci), più che una tortura sembra di vivere un sogno, un sogno che diventa incubo, ma dal quale è possibile, in qualche modo, fuggire. E’ più surreale, ma meno malsano, meno crudele.
Sei stata stregata? Attenta a quello che ascolti, magari il demonio si nasconde in qualche cd masterizzato che hai appena inserito nel pc! 🙂
Riguardo a I dominatori dell’universo, è uno dei film che ho amato di più durante l’infanzia, prima o poi dovrò recensirlo, nella speranza che non rovinino i personaggi nel remake di Jon Chu! 🙁
Più che un tributo quello di Zombie mi è sembrato un urlo (rock’n’roll) al cinema horror, se non al cinema tout court. Il valore aggiunto, oltre alla visione disturbante, malsana e cattiva, è la regia, virtuosa e intensa. E’ l’occhio di Rob che guarda a fare la differenza. Se l’avesse girato un qualsiasi manovale dell’horror, Le Streghe di Salem non avrebbe la stessa malìa. In questo concordo con Bartolini che lo associa a David Lynch. Si, credo mi abbia stregata…
p.s.
grazie per avermi ricordato l’immagine di He Man/Dolf Lundgren!
Finalmente sono riuscito a vederlo, spettacolo pomeridiano in una sala semideserta.
Film più che buono, regia sapiente, sceneggiatura di grande respiro e atmosfera davvero inquietante. Il solo motivo per cui non gli dò un voto superiore al 7 è una lieve mancanza di originalità: pur piacevole e niente affatto noioso, il film resta in fondo un tributo del regista al cinema horror del passato, da cui prende in prestito idee e soluzioni rielaborandole con il suo gusto pop-metal. Come tu stessa sottolinei, i maestri del filone demoniaco vengono omaggiati con varie citazioni, dal Kubrick di Shining e Eyes Wide Shut al Ken Russell de I diavoli, dall’Hardy di The Wicker Man al Polanski di Rosemary’s Baby. In particolare, a quest’ultimo sembra ispirarsi la storia portante: se dovessi fare un paragone con un altro film-tributo recente, Le streghe di Salem sta a Rosemary’s Baby come Django Unchained sta a Mandingo.
Davvero azzeccato il cast, con la signora Zombie, Sheri Moon, ormai attrice matura, sempre più sfatta via via che la storia procede, e Bruce Davison (attore che sembrava destinato a una grande carriera nei primi anni Settanta con le buone prove in Fragole e sangue e Willard e i topi) in un ruolo finalmente all’altezza del suo talento, quello dello scrittore ficcanaso simile nel look a Kris Kristofferson. Deliziose anche le streghe, con una menzione speciale per Meg Foster, altra grande attrice del passato (il mio ricordo di lei resterà per sempre legato al personaggio di Evil-Lyn, la sensuale compagna di Skeletor, nel supercult del 1987 I dominatori dell’Universo), terrificante con i suoi occhi di ghiaccio e il corpo scheletrico nella parte della strega capo. Simpatico, infine, Ken Foree con parrucchino afro, scherzosamente paragonato a Isaac Hayes.
Ad ogni modo, resta il miglior film del regista assieme a La casa del diavolo, nettamente superiore al troppo cialtronesco La casa dai mille corpi e al discutibilissimo remake di Halloween.
Oddio lo stavo aspettando dal Desert Uprising di Phoenix!
anche per questo film, uprising è la parola giusta!