Horror Ketchup – Premonition: la recensione
Vedi Sandra Bullock e poi muori: perché, in effetti, in Premonition di Mennan Yapo non c’è molto altro per sopravvivere alla noia. È singolare che il noto sito internazionale Rotten Tomatoes abbia raccolto una miriade di giudizi negativi del pubblico su questa pellicola del 2007, fino a classificarla, per pura statistica critica, tra le peggiori di sempre. Per quanto la brava attrice si salvi dal naufragio cinematografico, è difficile non restare quantomeno tiepidi di fronte a questo emulo strampalato di Memento di Christopher Nolan, tutto fondato sul puzzle temporale e sulla psicotica inarrestabilità di una premonizione di morte: ma l’incastro delle tessere fallisce, la doppia vista della Bullock – peraltro ciecamente calata nel nulla narrativo – non è più drammatica di quella che si apprezzerebbe in una serie tv come Medium, la corsa inarrestabile verso il baratro della morte è preferibile in film che osano prendersi meno sul serio, come Final Destination.
Linda Quinn Hanson (Sandra Bullock) è una casalinga amorevolmente dedita ai figli ed al marito. Una mattina apprende da un’agente di polizia che quest’ultimo, via per lavoro, è deceduto in un incidente stradale. La mattina dopo, però, lo ritrova vivo e vegeto sotto la doccia. Quella successiva ancora, Linda si scopre nel bel mezzo del funerale del marito. Chiaroveggenza? Sì, ma sfalsata. Il problema è ordinare il calendario mentale e possibilmente evitare la morte del coniuge.
Il turco naturalizzato tedesco Mennan Yapo non è mai andato granché al di là della propria patria (Framed del 1999 e Lautlos del 2004 sono stati ben accolti in Germania), né ha mai davvero insistito con la carriera da regista, riciclandosi come attore non protagonista (ne I racconti del cuscino del 1996 di Peter Greenaway, e in Good Bye Lenin! di Wolfgang Becker nel 2003). Che sia un autore di rispettabile incompiutezza, lo si avverte specie tenendo conto dell’incipit di Premonition: Jim (Julian McMahon) mostra alla moglie Linda la nuova casa in cui andranno a vivere coi figli, col significativo gesto di bendarle gli occhi con le mani. Se si aggiungono, nella medesima sequenza, gli sfondi fuori fuoco e la luce cinerina della fotografia – appena riscaldata da tinte autunnali nel prosieguo – si ha modo di apprezzare la curiosa dialettica del film, vedo-non vedo: vista occlusa all’inizio, premonizioni – e quindi, seconda vista – nello sviluppo; dettagli nitidi nel prologo, ma con lo sfondo spesso abbacinato e mosso, così come capiterà in senso più vasto e angosciante a Linda in seguito, nel vedere chiaramente giorno per giorno gli avvenimenti, ma fuori fuoco rispetto ad un contesto di piani temporali rimontati in modo da non afferrare il senso di questa vista mentale. Partecipano, tra i tanti frame di questo sottile cubo di Rubik della confusione oculare, le immagini del marito ancora vivo, nonostante l’apparenza reale e presente delle lunghe premonizioni, ma visto attraverso il vetro zigrinato del box doccia: perfetta metafora di una veggenza non esattamente chiara.
A ben vedere, per almeno un’ora il film riesce anche a tenere piuttosto sulle spine: fin quando, cioè, il pathos meticolosamente costruito non finisce sotto un camion di risoluzioni banali ed affrettate, scivolando fuori dalla carreggiata delle meritevoli premesse. La coppia Bullock/McMahon, d’altronde, conosce un progressivo sgretolamento di credibilità, in parte per una sceneggiatura facilona che non riesce a elevare l’interessante soggetto, in parte per la strana sindrome di McMahon, attore che rende assai meglio in televisione che sul grande schermo (per intenderci, è il co-protagonista di Nip/Tuck nei panni di Christian Troy). Non basta, dunque, il rovello thriller della ricostruzione della fabula a partire dall’intreccio, riordinando gli eventi; né sono convincenti i timidi affondi tanto in direzione dell’horror – la figlia di Linda col viso scheggiato è l’unico sussulto – quanto del dramma familiare, che la pochezza dei dialoghi non sostiene debitamente. Ecco perché, infine, l’ultimo baluardo dell’attenzione si arrocca nella performance della Bullock: andata a vuoto l’ennesima variazione sul tema della chiaroveggenza, perlomeno si può apprezzare l’ennesima variazione, meglio gestita, della paranoia, e del confine labile tra immaginazione e realtà, tra (non) visto e (non) vissuto, con tutti gli incroci possibili di negazioni e affermazioni, ma soprattutto di ricadute sulla sanità mentale.
Presentato da Dario Argento nel ciclo “100 pallottole d’argento” di Rai Movie, Premonition di Mennan Yapo è un thriller para-psicologico troppo poco “para”, e troppo maldestramente “psicologico” per dirsi riuscito, al di là del fumo negli occhi di una fotografia suggestiva e di una Sandra Bullock capace di rubare gli sguardi superficiali.
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Scritto da Antonio Maiorino.