Breaking Dawn – Parte 2: la recensione
Con Breaking Dawn – Parte 2, uscito nelle sale italiane il 14 novembre 2012, si chiude ufficialmente la saga cinematografica tratta dalle serie letteraria (?) Twilight di Stephenie Meyer. Se la campagna pubblicitaria è stata costruita su uno sbandierato “forever” (un vampiro è per sempre, soprattutto se brilla come un De Beers), i milioni di fan di Edward, Bella e Jacob (soprattutto di Edward, come pare confermare l’applausometro post-anteprima) dovranno invece scendere a patti con la fine della serie, anche se la sindrome da abbandono pare ancora lontana dai picchi inaugurati da Harry Potter. Naturalmente la caccia all’erede è partita già da tempo: ma mentre si valutano pro e contro di The Hunger Games e del neocandidato Beautiful Creatures (in arrivo a febbraio il primo film tratto dalle serie firmata da Kami Garcia e Margaret Stohl), si può essere anche moderatamente soddisfatti dell’ultimo capitolo cinematografico ambientato a Forks, nettamente superiore rispetto a Breaking Dawn – Parte 1 (impresa non difficile, d’accordo).
Il duo artistico principale rimane invariato, con la regia di Bill Condon e la sceneggiatura di Melissa Rosenberg, ma le energie creative vengono investite in modo molto più bilanciato e i 116 minuti di durata scorrono molto più rapidamente dei 117 del capitolo precedente, che appare sempre più uno stratagemma puramente commerciale. Non che il materiale dell’ultimo romanzo non fosse sufficiente a riempire due film, intendiamoci, ma nella prima parte la scarsa conduzione strutturale e registica aveva penalizzato ulteriormente la resa su schermo di un canovaccio inconcludente e autoreferenziale. Fortunatamente in quest’ultimo episodio Condon ritrova un po’ di senso del ritmo (pur non lesinando sui suoi consueti primi piani, campi e controcampi), e soprattutto la Rosenberg, che pure continua a non brillare per i suoi dialoghi, inserisce un artificio estremamente azzeccato che rende molto più efficace la parte conclusiva dello story arc.
La ventata d’aria fresca porta nuova linfa vitale al materiale partorito dalla Meyer, che resta il punto più debole dei film, soprattutto a partire dal terzo, Eclipse. Anche nelle sequenze più coinvolgenti risulta difficile non pensare che in fondo le motivazioni da cui si dipana la trama non sono che banali pretesti senza costrutto, che si autoalimentano e fanno di una mosca un elefante. I toni epici, in sé adatti alla neo-introdotta varietà di personaggi e alle convenzioni di genere, finiscono così per sfumare nella demonizzazione eccessiva del capo dei nemici, il cui delirio di onnipotenza, pur ben rappresentato, non è certo sufficiente a sostenere l’intera struttura.
La scena finale della prima parte aveva infatti preparato l’arrivo del clan italiano dei Volturi, autoelettosi dispensatori di giustizia e giustamente temuti per i poteri dello psicopatico capo Aro (un ottimo Michael Sheen), collezionista di vampiri coi poteri più svariati, per la nebbia fagocitante prodotta da Alec (Cameron Bright) e per le abilità occulte dell’algida Jane (Dakota Fanning), che però ricordano un po’ troppo la potteriana maledizione Crucio, con cui si infligge un fortissimo dolore all’avversario. I Volturi arrivano a Forks con un esercito di alleati per punire Edward e Bella, colpevoli, secondo le loro fonti, di un grosso “crimine”: l’aver creato una “bambina immortale”. Naturalmente gli spettatori sanno bene che Renesmee, la figlia di Edward e Bella (la quale nel frattempo è sopravvissuta diventando vampira) è stata concepita e messa al mondo per vie umane (e come dimenticarlo, visto il dispendio di sangue per la scena del parto cesareo) ed è quindi ibrida, ma non immortale. Solo che per spiegarlo ai Volturi occorrono diciotto testimoni raccolti faticosamente da ogni parte del globo, nonché quasi due ore di pellicola.
Di più: per quanta importanza si possa attribuire ai vincoli d’amore, di rispetto e di sangue (in tutti i sensi), si fatica a trovare una risposta al dubbio ricorrente “Ma chi glielo fa fare?”. Se ne accorge lo stesso Edward, nel suo unico momento di autocoscienza: “Ora sono tutti in pericolo solo perché io mi sono innamorato di un’umana”. Ma è un’epifania destinata a non avere seguito, dato che per tutto il resto del film lo scintillante rubacuori non fa che rimirare la sua consorte con sguardo ancor più tronfio, sorridendo della sua nuova forza soprannaturale e dedicandole romantiche dichiarazioni come “Abbiamo la stessa temperatura adesso”. Sempre più scontato il resto della rappresentazione sessista, soprattutto in camera da letto (che, come ci ricorda Edward nel caso ce lo fossimo dimenticati, ai vampiri “non serve per dormire”). Inutile sottolineare che Bella riesce a posizionarsi “on top” solo dopo aver rinunciato alla propria identità per essere inglobata da quella del maritino, e che comunque, a prescindere dalla presunta agency che pare aver acquisito, viene subito ridimensionata anche nel suo girl power: “Ricordo ancora come si fa a spogliarsi”, dice con una punta di nostalgia, per venire subito rimbeccata dal suo testosteronico cavaliere: “Sì, ma io so farlo molto meglio”.
A Renesmee non sarà riservato un destino molto migliore, visto che Jacob, avendo subito l’imprinting che lo lega indissolubilmente alla giovane ibridella, impacchetta come fosse niente cinque film di patemi indirizzati a Bella (“Devo ammettere che state bene insieme. […] Niente aveva senso prima, e adesso capisco perché, era questa la ragione.”) e trasferisce la sua ansia iperprotettiva sulla piccola Nessie (premio per la peggior battuta dell’anno: “Hai dato a mia figlia il soprannome del mostro di Loch Ness?!?”).
Cosa resta, dunque, togliendo la debolezza narrativa e il maschilismo dilagante? Più del previsto, in realtà. Un ritmo più cadenzato che facilita la visione, i meravigliosi scenari che non stancano mai (soprattutto le spettacolari montagne innevate), una colonna sonora sempre curatissima (con tanto di inedito dei Green Day, “The Forgotten”) e una pregevole scena di battaglia che permette di sfruttare tutti i poteri dei nuovi personaggi dispiegati nei due schieramenti (da un lato i Cullen, gli amici degli altri e i licantropi, dall’altro gli inquietanti Volturi incappucciati, un tetro fronte che avanza compatto sul candore della neve). Interessanti soprattutto il clan delle Amazzoni, il vampiro nomade e guerrafondaio Garret e l’egiziano Benjamin, in grado di controllare gli elementi.
Incredibile dictu, stavolta si assiste anche a notevoli prove attoriali: si distinguono in particolare gli scatti deliranti di Micheal Sheen, lo sguardo profondo di Ashley Greene nei panni di Alice (purtroppo poco presente per questioni narrative) e soprattutto la giovane Mackenzie Foy, che dà vita a una perfetta Renesmee (una volta superata l’inquietante CGI iniziale, che propone un terrificante morphing del suo viso da dodicenne su un corpo da neonata). Ma come se la cavano invece i nostri eroi? Constatazione ancora più incredibile: persino la loro recitazione mostra finalmente un minimo di variazioni sul tema! A prima vista non sembrerebbe…
…invece Kristen Stewart scopre la modalità “Run, Bella, Run!”…
… e al Pattinson viene in mente di fare il giovane Robbie Williams, forse per sentirsi meno “Misunderstood” come teen idol.
Taylor Lautner invece decide di cimentarsi nell’ardua prova del recitare con una bambina senza sembrare un pedofilo…
… ma, non riuscendoci, opta per la versione cucciolone, sicuramente meno inquietante…
… o no?
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.