Entourage – Stagione 8: la recensione
In Italia se ne sono accorti solo i non molti fan: l’11 settembre del 2011 ha chiuso i battenti Entourage, longeva serie della HBO, giunta al capolinea dopo otto stagioni, andate in onda a partire dal luglio del 2004 – in Italia solo dal 2006, e l’ultima stagione è ancora inedita.
Ideata da Doug Ellin e prodotta, tra gli altri, da Mark Wahlberg, la serie ha avuto un successo discontinuo, che ha portato negli anni a una terza stagione di 20 episodi, per poi assestarsi sui 12 a stagione, fino all’ottava e ultima annata, di soli 8 episodi, come la prima.
La trama di tutta la serie ruota intorno al giovane attore Vincent Chase, al fratello maggiore Johnny “Drama” (interpretato da un eccezionale Kevin Dillon), ai suoi amici d’infanzia Eric e Turtle e al rude agente Ari Gold (Jeremy Piven, in uno dei suoi ruoli più riusciti).
Come ogni stagione, anche l’ottava – inferiore alle precedenti – segue diverse linee narrative: nel primo episodio (Home Sweet Home, diretto da Doug Ellin), Vince è finalmente tornato sobrio, dopo aver trascorso tre mesi in riabilitazione, in seguito a una più o meno breve dipendenza da sesso, alcol e cocaina (il finale della precedente stagione aveva lasciato aperto l’interrogativo sul suo futuro), e riallaccia i rapporti con il regista e amico di vecchia data Billy Walsh, nella speranza di tornare finalmente sullo schermo; Eric e Sloan, dopo anni di “tira e molla”, hanno rotto, perché lui ha rifiutato di firmare un accordo prematrimoniale, ma rimangono comunque in costante contatto, anche se la ragazza ha una certa intimità con un barbuto Johnny Galecki, special guest (negli episodi 8×01, 8×06 The Big Bang e 8×07 Second To Last) di questa ultima stagione – quasi impossibile elencare tutti i volti, più o meno noti, degli attori che, interpretando se stessi, sono passati davanti alla macchina da presa di Entourage nel corso delle annate; il nuovo spettacolo televisivo di Drama, Johnny’s Bananas, è un potenziale successo, ma gli attriti con il collega rendono la produzione difficoltosa; Ari e sua moglie sono ancora separati e seguono una terapia di coppia; infine Turtle prosegue le sue attività di imprenditore tra mille difficoltà, non solo economiche, che portano però, come sempre grazie alla mediazione di Vince, a una felice conclusione.
Di (meta-)cinema purtroppo ne rimane poco: restano i soldi, il sesso, le feste, comunque tutte colonne portanti della serie. Vengono per il resto seguite quasi solo le vicissitudini private e personali dei personaggi, ai quali nel corso degli anni è inevitabile affezionarsi. In particolare, Vince ha un colloquio con la scrittrice di «Vanity Fair» Sophia Lear, con la quale inizia una improbabile relazione, che nel finale (The End, diretto da David Nutter) sembra portare a un matrimonio parigino. Sempre nel “gran finale” conciliatorio, Eric è indeciso se lasciare il suo lavoro e trasferirsi a New York, per crescere insieme a Sloan il loro bambino (la ragazza ha infatti scoperto di essere incinta ed è stata convinta da Turtle e Drama a perdonare Eric), mentre Ari lascia il suo lavoro per la famiglia e si riconcilia così con la moglie.
L’entourage si incontra al completo in un piccolo aeroporto di Los Angeles, dove Eric e Sloan partono verso una destinazione sconosciuta, mentre gli altri volano – sulle note di Going To California dei Led Zeppelin – a Parigi, per il matrimonio di Vince. Ma la serie finisce effettivamente solo dopo i titoli di coda: nell’epilogo Ari e la moglie sono sulla costa amalfitana, quando il “boss” John Ellis chiama improvvisamente l’ex agente, proponendogli di prendere il suo posto come presidente e amministratore delegato della Time Warner («Try to be God», gli dice per invogliarlo): difficilmente Ari resisterà all’offerta, ma lo spettatore viene lasciato con il dubbio; e non sarebbe certo male uno spin-off sul personaggio – una delle figure meglio caratterizzate dell’intera serie – o un film (ipotesi al momento non remota), che riprenda le vicende dell’entourage di Vince, di cui sentiremo la mancanza.
Scritto da Luca Pasquale.
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Guarderò l’episodio finale anche solo per Going to California 😉