Venezia 69. To The Wonder: la recensione
To The Wonder, lo spettacolo-cinema di Terrence Malick al Festival di Venezia 2012 – capitolo secondo. Dopo The Tree of Life, Malick porta avanti la sua visione, scomoda e anti-cinematografica, di cinema per immagini. Sta a noi salire sull’albero.
Partiamo da un canonico (e difficile) riassunto: la storia di due innamorati alle prese con una relazione passionale quanto complicata. Il sentimento che lega Neil e Marina consente loro di vivere: è un legame puro, eterno, passionale, ma, incomprensibilmente, impossibile. Mi hai tirato fuori dall’oscurità […] verso la meraviglia/come ha fatto il mio tenero cuore a indurirsi?/Voglio conservare il tuo nome, esclama Olga Kurylenko nel film. Sono interrogativi sussurati all’apice della meraviglia o nel profondo dei silenzi, sullo sfondo di un Oklahoma arido e di una Parigi ostile, tutto sembra inafferrabile. La macchina da presa segue i personaggi, scopre spazi e luoghi.
Come i personaggi di The Tree of life, i protagonisti dialogano con un interlocutore ultraterreno sulla possibilità di scelta: Malick si concentra nuovamente sul libero arbitrio, spostando l’attenzione sulla bellezza e la brutalità delle relazioni sentimentali, dall’amore tra gli uomini a quello spirituale.
In parallelo alla storia di Neil e Marina, Malick porta sullo schermo il racconto di un prete alla ricerca di un Dio lontano e indifferente: Perché ci hai girato le spalle? Dice Javier Bardem. Inutile cercare risposte nel film, a Malick non interessa innalzarsi a pretenziosa guida spirituale, ma instaurare un legame empatico con lo spettatore. Secondo la sensibilità di ognuno, sono ancora le immagini a dialogare con il pubblico attraverso un insieme di attimi universali.
La nuova opera popolare di Malick è un approfondimento, stilistico e tematico, di The Tree of Life: ne ripropone temi e costruzione, anche se non sempre con la stessa meraviglia (l’intervento non necessario di Romina Mondello). Sta a noi scegliere che forma dare a To The Wonder.
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