Venezia 69. Love is all you need: la recensione
Love is all you need, il lato romantico di Susanne Bier al Festival di Venezia 2012. Dopo l’acclamato In un mondo migliore, la regista danese vola a Sorrento per la sua prima love story dai toni brillanti.
Copio e incollo la sinossi ufficiale: Philip, il proprietario di un’industria ortofrutticola con sede a Copenhagen, torna dopo tanti anni nella sua villa di Sorrento, un’elegante residenza immersa in una vasta e profumata limonaia. È proprio qui che il figlio di Philip, Patrick, ha deciso di sposarsi con Astrid.
Susanne Bier ripercorre tematiche care alla sua filmografia e al cinema danese (il rapporto padre-figli/il matrimonio) senza mai cadere nell’espediente della battuta facile. Anche il cancro, nel filone sentimentale sinonimo di melassa e lacrima facile, è un protagonista importante e mai invasivo. Essenziale perché non viene utilizzato per compatire la protagonista, bensì per svelarne la forza e l’ipocrisia di chi le sta accanto.
Per raccontare i personaggi, la regista sceglie il matrimonio come rituale rivelatore di segreti, malesseri e identità familiari. Al feeling positivo che lega Ida e Philip (Trine Dyrholm e Pierce Brosnan in un ruolo riciclato da Mamma Mia!), vengono contrapposti personaggi negativi come Benedikte (un ritratto di tutto quello che una madre non dovrebbe mai essere, ma che spesso è) e Leif (il marito opportunista) o deboli come Patrik (lo sposo che inibisce se stesso per compiacere il padre), all’interno di un affresco familiare estremizzato, ma non per questo inverosimile. La cineasta intreccia trame prevedibili, ma ha il merito di non voler svelare troppo, lasciando solo intuire le sorti di alcuni personaggi (in particolare Patrik).
Susanne Bier funziona anche come regista brillante: Love is all you need è un buon esempio di commedia sentimentale, anche se il target di riferimento non supera mamme, nonne e zie.
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