Venezia 69. The Master: la recensione
The Master, presentato in Concorso a Venezia 69, è un film diretto da Paul Thomas Anderson e interpretato da Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman.
La storia è ambientata negli Stati Uniti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. L’ex marinaio Freddie Quell, disadattato e incapace di gestire la propria aggressività, torna a casa senza prospettive. L’incontro con il carismatico Lancaster Dodd, leader di una setta pseudo-religiosa di orientamento umanista chiamata la Causa, cambierà la sua squallida vita.
Preceduta da una lunga attesa e da un’aura di mistero – è stato l’ultimo titolo selezionato fra quelli in Concorso a Venezia – l’ultima opera del talentuoso Paul Thomas Anderson non è il capolavoro annunciato nel quale pubblico e critica speravano.
Se resta indiscutibile il talento visivo del cineasta americano, che si esplica in una regia priva di sbavature, in una ricostruzione d’epoca immediata ed esauriente e in un grande lavoro sulla fotografia, sia nelle scene in interni che in quelle in esterni, è sul piano narrativo che Anderson non convince. La metafora di un Paese stremato dalla guerra, in cerca di nuove certezze, facile preda di predicatori dalla parlantina sciolta e dalla personalità manipolatrice, è uno spunto iniziale che avrebbe garantito notevole interesse, ma solo sulla carta.
Sviluppando un soggetto ispirato alla reale vicenda di Scientology, la sceneggiatura si dimostra, in fondo, incapace di coinvolgere e appassionare il pubblico: la scelta di mantenere uno sguardo distaccato nei confronti dei protagonisti e delle loro vicissitudini dà vita, infatti, a uno spettacolo esageratamente algido, a tratti privo di mordente, rispetto al quale risulta difficile identificarsi. Sotto questo aspetto, non aiuta una caratterizzazione volutamente ambigua, con personaggi sfuggenti e sgradevoli, che non vivono nessuna evoluzione nel corso dell’intera vicenda, ma a mancare quasi del tutto è il ritmo: pur confezionato in maniera sontuosa, The Master si porta avanti per oltre due ore con la cadenza oscillante di un pendolo, scandito dall’ossessiva colonna sonora di Jonny Greenwood, tornando troppe volte nella stessa situazione di partenza.
Notevole, comunque, la prova dei due attori principali, con un Joaquin Phoenix sull’orlo della follia, a tratti violento, a tratti catatonico, capace di tenere testa, almeno sul piano della recitazione, al camaleontico Philip Seymour Hoffman; il quale, a sua volta, si conferma un vero istrione, recitando, cantando e ballando nel ruolo dell’ambiguo e suadente leader della Causa. Personaggio, quest’ultimo, ispirato al vero fondatore di Scientology Ron Hubbard, ma che omaggia nel nome l’attore Burt Lancaster, interprete di un altro celebre manipolatore di celluloide, quell’Elmer Gantry protagonista de Il figlio di Giuda. Riguardo al resto del cast, la brava e graziosa Amy Adams interpreta la giovane moglie, complice e determinata, di Dodd, pronta a dare al marito altri figli e nuova linfa vitale, mentre la rediviva Laura Dern appare notevolmente invecchiata nel ruolo di una ricca signora interessata alla Causa.
In sintesi, pur trattandosi di un’opera non priva di spunti significativi, sono troppe le scelte discutibili per non lasciare nello spettatore, all’uscita della sala, il proverbiale amaro in bocca.
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Alice C. Barbara N. Chiara C. Edoardo P. Giacomo B. Giusy P. Irina M. Leonardo L. Sara M. Vera S. 6 9 6 7 6 6 6 6 6 7
Il doppiaggio in effetti toglie moltissimo… comunque sono d’accordo, bravissimi gli attori, peccato per l’occasione sprecata.
Grazie del commento, Irina!
La monotonia della vicenda e il piattume delle caratterizzazioni rovinano un’opera dal potenziale enorme. Arido è la parola giusta: nessun colpo di scena, nessun trasporto emotivo, solo nevrosi, follia e manipolazione, ma senza che porti a nulla.
Pensa a me che l’ho visto alle 8 del mattino, con un freddo cane e i sottotitoli bianchi illeggibili su sfondo spesso chiaro. Fortunatamente il film non ha molti dialoghi.
Riguardo a Phoenix, la sua prova è impressionante, ma il suo sforzo è degno di opere migliori. A me è piaciuto anche Hoffman, col suo istrionismo a volte straripante, ma chi l’ha visto doppiato in Italiano, esperienza che fortunatamente mi sono risparmiato, si è lamentato del doppiaggio di Pannofino… Tu hai avuto la stessa impressione?
Concordo pienamente la tua bella analisi, Davide! Lo spunto iniziale del quale parli (un paese da ricostruire dopo il secondo conflitto mondiale) poteva davvero dare il “la” ad un grande film, che invece dal punto di vista narrativo è di una monotonia allucinante. Ho avuto attimi di cedimento (leggasi =mi sono quasi addormentata) in un paio di momenti. Sceneggiatura piatta come una tavola. Uniche note di merito: le ricostruzioni e la fotografia, come noti tu. E un eccellente Joaquin Phoenix, personaggio (e attore) che si scollano completamente dalla desolante aridità della pellicola.