Attack the Block: la recensione
Attack the Block è la storia di un’invasione aliena. Ma non della terra, non di una nazione, né di una città; è la storia dell’invasione di un microcosmo, il quartiere, territorio di Hi-Hatz, a breve di Moses e un giorno dei piccoli e cazzutissimi Probs e Mayhem. Una guerra da combattere soli, con il quartiere e per il quartiere, unico elemento di identità e coesione sociale, da difendere ad ogni costo.
Scritto e diretto da Joe Cornish, già co-sceneggiatore de Le avventure di TinTin, e prodotto da Edgar Wright, Attack the block è molto distante dai film della Cornetto Trilogy, come Shaun of the dead o Hot fuzz, di cui pur condivide l’amore per certo immaginario cinematografico. Il film di Cornish ha tutt’altre ambizioni, non gioca sulla deformazione parodistica, né è pensato per “far ridere”. Certo i modelli e i riferimenti sono ben chiari e i classici topoi riproposti con precisione ma nell’ottica di un’originale rielaborazione e ricontestualizzazione del genere.
Cinque adolescenti della zona sud di Londra, mentre cercano di rapinare una ragazza che sta tornando a casa dal lavoro, assistono alla caduta sulla terra di uno strano essere dall’aspetto poco amichevole. Ucciderlo si rivelerà una pessima idea. Moses, Jerome, Pest, Dennis, Biggz dovranno affrontare l’attacco alieno che seguirà insieme a Sam, la giovane infermiera loro vittima, allo spacciatore Ron e all’imbranato Brewis.
Impossibile non pensare subito ad Assault on Precinct 13. Come nel film pietra miliare di John Carpenter abbiamo dei personaggi controversi, là detenuti, tra cui un condannato alla pena di morte, qua ragazzini devianti, dediti a rapine e spaccio. In entrambi i film è presente un’azione scatenante che dà il via agli eventi e sebbene l’uccisione da parte di Moses del primo alieno appaia ben più futile e gratuita del gesto del padre in Distretto 13, essa è comunque motivata nell’ottica interna del film come necessaria affermazione della propria leadership all’interno del gruppo. Entrambi i gruppi sono minati inizialmente dalla mancanza di fiducia ma si fanno più coesi e solidali man mano che vengono condivise le esperienze traumatiche di scontro. Fondamentale è infine la visione di un esterno indifferente quando non apertamente ostile, incapace di decodificare le dinamiche e le situazioni interne a quella realtà. Alla fine di Assault in Precinct 13, nonostante i meriti oggettivi e il contributo fondamentale alla resistenza, Napoleone Wilson verrà ugualmente condannato alla pena di morte, così come in Attack the block i ragazzi verranno arrestati dalla polizia locale, tra le urla e le proteste degli abitanti del block.
La cifra caratteristica del film sta proprio in questa contrapposizione tra interno ed esterno e nelle logiche peculiari che governano l’interno, con esiti paradossali. L’invasione aliena appare quasi come una lotta tra gang rivali per la supremazia sul territorio. Di certo così la vive Hi-Hatz, il boss, la cui unica preoccupazione è che Moses voglia approfittare della situazione per fregarlo. E così la vivono i ragazzi, che non vogliono solo salvare se stessi e di sicuro non vogliono salvare la terra: vogliono salvare il quartiere e chi, come loro, vive nel quartiere, da una minaccia esterna, sia essa aliena o umana. Da questo punto di vista la contrapposizione e, in generale, la tematica sociale traspaiono senza essere citate troppo apertamente, se non in un paio di dialoghi: quando Sam parla a Pest del fidanzato, volontario in Ghana (Why can’t he help children in Britain? Not exotic enough, is it?) e quando Moses ipotizza un complotto dei Federali (They sent in drugs, they sent guns and now they’re sending monsters in to kill us), spunti esposti in chiave comica e grottesca ma non certo irrilevanti.
Operazione pienamente riuscita quindi quella di Cornish che, forte di un cast superlativo, costruisce un film d’azione coinvolgente e divertente, ricco di riferimenti e rimandi declinati in modo del tutto inedito. Perfetto nella parte di Moses John Boyega, esilarante Nick Frost nei panni dello spacciatore Ron, giustissimi Probs e Mayhem gangster in erba, un piccolo gioiello la storyline di Biggz rinchiuso nel cassonetto. Parafrasando Jerome, this is too much madness to explain in one text! O in una recensione.
P.S.Questo il voto per la versione originale del film; la versione doppiata che vedremo in sala, per quel che si può intuire dal trailer in italiano, perde buona parte della sua forza, non rendendo le dinamiche verbali e lo slang che sono alla base sia della caratterizzazione peculiare del film, sia dei migliori momenti comici. Believe it, brut.
Scritto da Barbara Nazzari.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Chiara C. | Edoardo P. | Giacomo B. | ||
6 | 8 | 6 |