Roma 2011 – The Lady: la recensione
Apre la sesta edizione del Festival di Roma The Lady, film biografico che ripercorre la vita dell’attivista birmana Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel ’91, firmato dal regista francese Luc Besson (Léon, Angel-a).
Con brevi salti temporali, il film ripercorre l’intensa storia di Suu Kyi, dall’incarceramento alla liberazione, tra lotte politiche e affetti familiari, fra dolori e gioie che hanno segnato la sua intera vita. Un viaggio nella vita di una persona indissolubilmente legata a quella della sua nazione, devastata da un regime oppressivo, per far sentire ancora più forte il grido del popolo birmano.
Con una regia semplice e diretta, sicuramente più classica rispetto ai suoi standard ma funzionale alla storia, Luc Besson tratteggia abilmente la figura di una donna forte e sicura, anche nelle piccole debolezze di ogni giorno, una donna soprattutto determinata, una “Lady di ferro” delicata e gentile, tanto da meritarsi l’appellativo di Orchidea di ferro. Straordinaria Michelle Yeoh, forse alla sua interpretazione migliore, che oltre a una somiglianza impressionante, si dimostra perfettamente all’altezza di un ruolo che la porta costantemente sullo schermo.
Un vero e proprio atto d’amore verso la causa birmana, ma soprattutto verso il dramma familiare che si consuma lontano dai riflettori, nell’intimità di due individui irrimediabilmente divisi, ma stoicamente convinti delle loro idee. Un dramma personale prima di tutto, che si consuma lentamente, uno stillicidio da cui è impossibile sottrarsi. La forza indistruttibile di un’idea, di un ideale, per cui è giusto sacrificare anche i propri affetti e la propria libertà, non per fede o per denaro, non inseguendo una bandiera, ma per chiedere semplicemente quello che, altrove, è un diritto innegabile.
Con l’intento, dichiarato, di diffondere il dramma birmano, il regista sfrutta la forza del cinema per far arrivare la storia di Suu Kyi là dove non era ancora arrivata. Usare la propria libertà per promuovere quella altrui, è questo il messaggio finale e il motore del film, per ricordare che anche il cinema può fare la sua parte e arrivare al pubblico in maniera decisamente forte. Una piccola donna e un grande film, che si fa portatore di un messaggio universale, quasi a dire che il cinema non è e non deve essere sempre e solo un mero intrattenimento.
My two cents
Primo vero capolavoro del festival, la storia di Suu Kyi, a cui è impossibile restare impermeabili, arriva forte e diretta come un gancio allo stomaco, regalando emozioni e rendendo il pubblico, suo malgrado, sensibile alla causa. Sicuramente assimilabile a film del genere come il recente Invictus, con cui condivide l’intento, ma con uno sguardo più intimo e più innamorato, più diretto e innegabilmente più forte.
Scritto da Leonardo Ligustri.
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