C’era una volta… Venezia: The Dreamers
Quest’anno, al 68° Festival di Venezia, Bernardo Bertolucci consegnerà a Marco Bellocchio il Leone d’Oro alla carriera. Prendendo spunto da questa bella coincidenza, ricordiamo The Dreamers, che venne presentato al Lido nel 2003, lo stesso anno di Buongiorno, notte: due film straordinari e coraggiosi, in barba alle sterili polemiche che accompagnarono la loro presentazione.
Parigi, primavera 1968. Durante un periodo di studi all’estero, l’americano Matthew fa la conoscenza dei gemelli Théo ed Isabelle, affascinanti, irresistibilmente folli e soprattutto cinefili fino al midollo: lo trascineranno in un vorticoso percorso di iniziazione alla vita, alla politica, al sesso, fino all’orlo del baratro; ma non si sfugge alla Storia, che trascinata dal grido “dans la rou” irrompe al momento giusto e risveglia le tre giovani vite dal torpore letale dell’autoreclusione.
Le rivolte studentesche e quelle cinefile vanno di pari passo: è alla manifestazione contro la sollevazione di Henri Langlois dalla direzione della Cinémathèque Française che Matthew conosce i gemelli, e ne viene immediatamente rapito. La realtà privata dei protagonisti, fratelli minori di quei giovani turchi della Nouvelle Vague che solo pochi anni prima avevano rivoluzionato la cinematografia francese e poi mondiale, è filtrata costantemente dalla divorante passione per il cinema che li unisce. Il gioco “In quale film?”, che consiste nel mimare le scene cinematografiche più amate e nell’indovinarle, pena penitenze sempre più disturbanti, è l’espediente che manda avanti la progressiva e reciproca scoperta emozionale, fisica, mentale dei personaggi. Come in Ultimo tango a Parigi, ma anche come in Io ballo da sola, un unico luogo circoscritto fa da teatro all’avventura esistenziale: i meandri tortuosi dell’appartamento borghese parigino si piegano su se stessi e formano una decadente gabbia dorata in cui abbandonarsi.
Difficile trovare un altro film che esibisca un uso così intenso e consapevole della citazione: i ragazzi “rifanno” letteralemente La regina Cristina e Cappello a cilindro, Fino all’ultimo respiro e Scarface, Bande à part e Mouchette, e sapientemente le immagini dei film si accostano e si alternano a quelle di Matthew, Isabelle, Théo che li evocano. Dietro l’ossessiva ricostruzione di un universo a immagine e somiglianza del cinema (“sono nata nel 1959 sugli Champs Elysées”, dichiara Isabelle, facendo coincidere la sua venuta al mondo con quella di Fino all’ultimo respiro di Godard) si cela la dichiarazione d’amore di Bertolucci stesso per la settima arte, e, cosa ancora più importante, la consapevolezza del potere del cinema di raccontare atmosfere e sensazioni, attraverso punti di vista mai univoci. Il finale ha fatto semplicisticamente gridare alla reazione e al filoamericanismo: davanti alle barricate, le strade di Matthew e dei gemelli si dividono. L’americano se ne va, i gemelli si immergono nell’inasprirsi della lotta, ma la macchina da presa resta saldamente incollata alle rivolte, a ribadire la necessità, pur “non rinnegando niente”, di continuare ad interrogare la Storia, e di ripensare dall’interno agli errori che hanno portato al fallimento della più bella delle rivoluzioni.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Davide V. | Leonardo L. | Sara M. | ||
5 | 6 | 3 |
Scritto da Chiara Checcaglini.