In viaggio con una rockstar: la recensione
In viaggio con una rockstar (la solita, scipita traduzione del comunque non meno didascalico Get him to the Greek originale) è una delle ultime creature a essere uscita dal circolo magico di Judd Apatow (qui nelle vesti di produttore), scritta e diretta dal sodale Nicholas Stoller – già regista del precedente Forgetting Sarah Marshall, film dal quale questo In viaggio con una rockstar riprende il personaggio interpretato da Russell Brand. Ed è proprio attorno a questo personaggio, affiancato da un oramai solidissimo Jonah Hill, che Stoller tenta di ricamare una sorta di parodia del mondo dello spettacolo pop anglo-americano, e che si dà al tempo stesso un po’ come road movie, un po’ come buddy comedy (con tanto di intrecci romantici sciolti in maniera più o meno felice).
La ricchezza di riferimenti e di incroci non deve però trarre in inganno: l’opera infatti risulta un minestrone slabbrato di gag emetiche, scatologiche e sessuali della peggior risma, roba con la quale lo spettatore medio italiano già ha avuto a che fare negli anni 70, o, più recentemente, nelle repliche televisivo-notturne di un qualsiasi film di Lino Banfi (il Banfi quello vero, quello affiancato da Jimmy il Fenomeno, Alvaro Vitali e Mario Carotenuto – non quella trista controfigura da fiction di prima serata Raiuno che si aggira sui nostri schermi negli ultimi anni). La pellicola, per meglio dire, non riesce mai a scolpirsi una propria ragion d’essere in nessun frangente – né in quello parodico-satireggiante, né in quello di presunta riscoperta di se stessi e del proprio valore. Anzi, è proprio sotto questi aspetti che il film si rivela essere una serie di sassolini tirati nascondendo poi con premura tutte le mani della troupe: trasgressivo dove non c’è più niente da trasgredire, insistentemente sporco nei dettagli più fiacchi, tenero e codadipaglioso quando invece si sarebbe trattato di affondare in un’anti-morale che in alcuni momenti riesce comunque a emergere da tutto il deprimente resto. La regia a singhiozzo dello Stoller lascia alquanto interdetti, e non bastano certo un’unica buona scena (lo scambio del Jeffrey con tutto quanto ne consegue), o un Sean Puff “Sergio” Daddy Combs strepitoso comprimario a far valere le quasi due ore del film.
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Scritto da Gualtiero Bertoldi.