I Guardiani del Destino: la recensione
Mettiamo subito in chiaro una cosa: pur essendo tratto da un racconto del benemerito Philip K. Dick, I Guardiani del Destino (versione inutilmente pomposa del più pacato e intrigante The Adjustment Bureau originale), prima prova alla regia del già cinematograficamente scaltro George Nolfi, non è tanto da considerarsi un film distopico/fantascientifico, quanto un film d’amore – ovvero una di quelle pellicole in cui l’Ammore fra i due protagonisti principali viene avversato in ogni maniera, e ciononostante esso combatte, resiste e infine… (be’, lascio il dubbio, per quelli che ancora non l’hanno visto).
I Guardiani del Destino è una storia sentimentale, nella quale tutti gli elementi del Dick più classico (una realtà nascosta che governa la realtà visibile e superficiale; l’individuo singolo che tenta di ribellarsi al sistema al costo di enormi difficoltà e sacrifici; e più in generale la questione trascendentale della libertà e della possibilità d’azione umane) sono utilizzati più che altro come ricco contorno narrativo e scenografico, senza che il colpo, in questo senso, venga mai affondato.
In questa fiaba d’amore, dall’ambientazione prevalentemente urbana e contemporanea (una New York fredda, flebile e allo stesso tempo smisurata e complicata, ripresa con fare visivamente ordinato dal Nolfi), ciò che emerge sono soprattutto i personaggi, e gli attori che li interpretano: il rischio di trovarsi a sbuffare di fronte a una pericolosa deriva Harmony viene così evitato dall’ottima alchimia, leggera e frizzante, che Matt Damon e Emily Blunt riescono a imbastire fra i loro due personaggi; allo stesso tempo, un John Slattery come suo solito distaccato e quasi ironico, riesce a imprimere una godibilissima aria da travet scocciato al proprio personaggio.
Film godibile, ben assemblato, I Guardiani del Destino lascia intravedere alcune questioni interessanti, ma alla fine si accontenta di fermarsi al più che mai classico amor vincit omnia.
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Scritto da Gualtiero Bertoldi.
oddio, così malvagio non è: da una parte si tiene comunque bene in piedi, sia per i dialoghi che per le prove degli attori principali; dall’altra, a ben guardare, ci sono un paio di dettagli che contraddicono (o almeno rendono problematica) una lettura semplicisticamente romantica dell’intreccio (ma sono dettagli che il film stesso tiene sottotraccia e invita a non considerare troppo). Diciamo che si tratta di un buon svago per quelle coppie che hanno già visto due volte tutto Tarkovsky e cercano di staccare un po’ 😀
Insomma, è il solito filmino sentimentale, una monotona e scarsa variazione sul tema??? La solita ciofeca, ho capito… 😀