RED: la recensione
L’ex agente della CIA Frank Moses (Bruce Willis – Die Hard, Pulp Fiction) vive una monotona e solitaria esistenza in ritiro, concedendosi l’unico svago di telefonare, di tanto in tanto, a un’impiegata dell’ufficio pensioni sola come lui, Sarah (Mary-Louise Parker – Weeds), fino a che, una sera, irrompe in casa sua un commando di killer intenzionati a fargli la pelle. Liberatosi dei sicari, Frank si rifugia a Kansas City e, presa con sé la riluttante Sarah che ormai sa troppe cose su di lui, parte con lei in cerca dei suoi vecchi compagni di squadra per capire chi c’è dietro tutto questo, mentre la CIA gli sguinzaglia contro l’implacabile agente William Cooper (Karl Urban – Star Trek). Con l’aiuto del suo vecchio mentore Joe Matheson (Morgan Freeman – Million Dollar Baby), dello psicopatico Marvin Boggs (John Malkovich – Burn After Reading), della cecchina Victoria (Helen Mirren – The Queen) e del russo Ivan Simonov (Brian Cox – Prison Escape), Frank scopre di essere nel mirino di una cospirazione politica volta a cancellare le tracce di una delle operazioni segrete a cui partecipò quando lavorava per l’agenzia.
Basato sulla graphic novel scritta nel 2003 da Warren Ellis per la WildStorm e ora passata sotto il marchio DC Comics, RED (acronimo di Retired Extremely Dangerous, definizione data dalla CIA allo status del protagonista e tradotta come Reduce Estremamente Distruttivo) è una scatenata commedia d’azione diretta dal tedesco Robert Schwentke e interpretata da un sontuoso cast di veterani, il cui valore sulla carta risulta però maggiore della sua effettiva resa.
Il teutonico cineasta, complice una sceneggiatura, scritta dai fratelli Jon e Erich Hoeber, approvata dallo stesso Ellis benché piena di licenze, stravolge lo spirito del fumetto – violentissimo, pessimista e crepuscolare, memore di certa letteratura spionistica anglosassone e, soprattutto, del cinema della paranoia degli anni della guerra fredda – e mette in scena un leggero, ironico, e a tratti demenziale blockbuster hollywoodiano, più simile a sciocchezze come Mr. e Mrs. Smith che a capisaldi del genere spionistico come The Manchurian Candidate e The Parallax View. In questa nuova veste, Frank Moses non è più il disumano e implacabile mostro che si rivolta ai suoi creatori dopo che hanno tentato di liberarsene, ma un malinconico pensionato in cerca di tranquillità e senza troppi problemi interiori, ancora capace di innamorarsi – per questo motivo gli è stato affiancato un personaggio femminile piuttosto ingombrante, il cui ruolo è stato gonfiato rispetto alle pagine scritte – e solidale con gli amici: in questa maniera, è più facile l’identificazione da parte dello spettatore occasionale (grazie anche alla buona prova di un Bruce Willis al meglio della forma), ma vengono meno quegli spunti di riflessione che il fumetto, nella sua sgradevolezza, offriva.
Il principale difetto del film, a prescindere dal cambio di registro rispetto alla fonte cartacea, è una certa superficialità di fondo con la quale vengono affrontati temi potenzialmente interessanti – la solitudine susseguente alla pensione, il sottile confine fra paranoia e lucidità mentale indotto dal clima di cospirazione, la responsabilità dei governi nel compimento di misfatti e omicidi nel nome della sicurezza, la nostalgia per un passato in cui ancora vigeva un po’ di cavalleria contrapposto al cinismo e alla vigliaccheria dei politici attuali – e che porta a risolvere tutto o con una sparatoria, o con una gag comica: non che ci si annoi, il ritmo è ben sostenuto, le sequenze d’azione spettacolari e gli spunti di divertimento non mancano, ma i dialoghi sono talvolta poco memorabili e la caratterizzazione dei personaggi troppo improntata al grottesco.
In questa situazione, il cast di extra-lusso cerca di arrabattarsi come può, offrendo comunque spunti di virtuosismo recitativo, soprattutto nei personaggi di Morgan Freeman (vecchio volpone minato da un male incurabile), di John Malkovich (particolarmente scatenato nei panni di un pazzoide armato fino ai denti che sembra la parodia del Mitch Leary da lui impersonato in Nel centro del mirino), e in quelli di Helen Mirren e Brian Cox, romantici killer governativi divisi dalla Cortina di Ferro. Appaiono invece poco convincenti gli antagonisti, in particolare il buffonesco trafficante d’armi interpretato con una gigioneria senza limiti da Richard Dreyfuss e il vice presidente pieno di scheletri nell’armadio con le telegeniche fattezze di Julian McMahon, mentre fa piacere rivedere il novantatreenne Ernest Borgnine nel ruolo di un archivista della CIA che rappresenta un po’ la memoria storica dell’agenzia e, al tempo stesso, un omaggio a un cinema che non esiste più, sicuramente meno ricco sul piano visivo, ma più profondo nei contenuti. Segno dei tempi, il film ha comunque riscosso ottimi risultati al botteghino in tutto il mondo, ottenendo la nomination al Golden Globe come miglior commedia, e si è già parlato di un sequel.
Continua a errare con noi su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Chiara C. | ||
6 |