Ex Machina: la recensione
Esordio alla regia dello sceneggiatore inglese Alex Garland, Ex Machina è un film di fantascienza indie in cui il protagonista Caleb (Domhnall Gleeson) deve verificare la coscienza di un robot. Quando si parla di intelligenza artificiale spesso ci si avventura dalle parti di Pinocchio; in questo caso troviamo un Mastro Geppetto nel genio miliardario Nathan, interpretato da Oscar Isaac. Il burattino che prende vita si chiama Ava (Alicia Vikander) ed è una vivace A.I. dotata di un corpo dalle fattezze di donna. Ha un aspetto ibrido, componendosi di parti visibilmente meccaniche sulle quali spiccano viso, mani e piedi umani, e il suo design ricorda quello del video All is Full of Love di Björk.
Portare gli androidi sullo schermo implica una riflessione su cosa sia la coscienza umana – e quindi cosa sia umano e cosa no – a cui si collega facilmente un discorso sulla schiavitù: l’androide serve l’uomo, che ne è il creatore-padrone. Nel caso di Ava, l’idea di uno Spartacus futuribile è declinato al femminile, genere senza dubbio adatto a rappresentare una condizione subalterna. E infatti il corpo della robot fa pensare per forza di cose alla bambola e al sex toy (ma Nathan fornisce le sue creazioni di organi sessuali che possono far loro provare piacere), mentre l’essere prigioniera suggerisce il tema dell’abuso sessuale (affrontato anche dall’eccellente serie tv sci-fi Humans); tanto più che Ava non sembra vivere il corpo esclusivamente come sede della sua coscienza robotica, ma come una parte di sé vera e propria. La violenza a cui allude Garland è soprattutto psicologica e legata alla prigionia. L’onnipresente vetro che separa Caleb da Ava durante i loro colloqui è uno schermo che tiene Ava confinata nella sua prigione, isolata dal mondo. Nell’economia del film Caleb rappresenta lo spettatore: come lui è innocente, non sa, vuole capire; ha gli stessi dubbi e le stesse paure. Anche Caleb si sente prigioniero della casa di Nathan, mentre rimane avviluppato nella rete della partita psicologica tra lo scienziato e la sua creatura.
Ex Machina ricorda film come Sleuth, in particolare il remake di Kenneth Branagh, dove la tensione nasce dal confronto in un ambiente chiuso tra pochi personaggi ostili, ma legati da un’attrazione impossibile da spezzare senza distruggere il gioco, o terminare il film. Ex Machina si articola come un thriller psicologico, con un cast carismatico (soprattutto Vikander e Isaac). La resa estetica è perfettamente coerente col soggetto: scenografia ed effetti speciali (il corpo di Ava) sono funzionali al racconto claustrofobico e conturbante. Gli esterni sono girati in Norvegia, dove il paesaggio ben descrive l’isolamento minaccioso al quale il protagonista Caleb si sottopone. La soluzione finale è però meno centrata rispetto ai temi portati avanti, cancellando le note di ambiguità che avevano reso interessanti personaggi e situazioni. Consigliata la visione in lingua originale: un errore di traduzione del doppiaggio italiano fornisce un’interpretazione scorretta della trama e spoilera uno dei colpi di scena più importanti.
Sara M. | Edoardo P. | Eugenio D. | ||
8 | 7 1/2 | 7 1/2 |