Mad Men 5×03 – 5×07: la recensione
Mad Men: la quinta stagione è ormai giunta al giro di boa, ed è impossibile definirla fin qui meno che magistrale.
Indubbiamente, questa prima parte di stagione è venata di oscuri presagi e inquietanti incursioni nell’inconscio: il cambiamento che avanza, i terremoti sociali, culturali e del costume si riflettono sulle vite dei protagonisti della SCDP e vengono interpretati dagli autori tramite svolte, trasformazioni, affondi o battute d’arresto nelle situazioni personali di tutti. Così il racconto si allontana spesso da Don per incorrere nelle vicende degli altri, avvicinandosi di volta in volta, come una lente di ingrandimento, per poi tornare al quadro di insieme.
La doppia première ci aveva lasciati frastornati da molte novità, e da almeno un’assenza importante: Betty Draper Francis. Che ritroviamo in “Tea Leaves” sorprendentemente in sovrappeso e sempre più insicura. Betty, che ha sempre avuto dalla sua parte la bellezza come unico punto di forza e di controllo (ma anche come fonte della sua debolezza di carattere), deve così fare i conti con un fisico sfuggitole di mano: il sospetto che si tratti di un cancro alla tiroide la manda definitivamente in confusione ma la fa anche riflettere sul suo passato e sul possibile futuro della sua famiglia. Ma Betty non sembra ancora in grado di emanciparsi dalle sue incertezze: quando scopre che non è malata, riesce comunque a crucciarsi, perché il suo peso aumentato non è conseguenza patologica, ma solo colpa della sua trascuratezza. E’ ancora una Betty insicura e bisognosa di attenzioni e rassicurazioni, che, apparentemente, solo Don riesce ancora a darle. Questi, intanto, sembra stranamente sereno, mentre con sguardo distaccato e senza tempo osserva la nuova gioventù nel backstage del concerto dei Rolling Stones che ingenuamente la SCDP pensa di poter ingaggiare, mentre un Harry Crane in precoce crisi di mezza età si lascia trasportare dall’entusiasmo per l’intraprendenza di questi nuovi, vitali adolescenti.
E’ in “Mystery Date” che rifà capolino il lato più oscuro di Don, sottoforma di visioni febbricitanti e fantasmi del passato. Mentre non si parla d’altro che di un efferato pluriomicidio, oggetto di morbosa attenzione in agenzia o di terrificante spavento nel caso di Sally, Don fa un viaggio onirico nel delitto (uno dei tanti trip della stagione, come vedremo), uccidendo letteralmente le tentazioni del passato, nei panni di una bella ex-fiamma (la Madchen Amick di Twin Peaks).
“Mystery Date” è un episodio sulle pulsioni e sulla loro comprensione e incomprensione, dunque, traslando, sulla comprensione della natura umana, che spesso appare disgraziatamente imperscrutabile. Sicuramente lo appare a Sally, curiosa del mondo degli adulti e impaziente, ma l’unica lezione che la ragazzina impara dai perturbanti racconti di “nonna Francis” è che l’importante è ricordarsi le lezioni imparate; e che i rovelli su comportamenti incomprensibili si possono sopire con pillole per dormire. Se Don sogna omicidi, Joan è ferma nel prendere le decisioni giuste, anche quando sono difficili e dolorose: l’atteso ritorno del marito porta tutt’altro che gioia e rassicurazione, confermando, invece, la meschinità già palese dell’uomo che, ricordiamo, violentò Joan senza tanti complimenti. E da bravo vigliacco questi sceglie ancora l’esercito, proprio per non sostenere lo sguardo e il carattere della donna che ha sposato, pensando di poter mettere in scena l’ennesima variazione di un matrimonio farsa in cui la moglie del soldato deve stare a casa ad aspettarlo e a pregare per lui. Ma Joan non ci sta, e lo caccia di casa.
Se “Mystery Date” è una puntata di donne e di oggetti del desiderio, protagonisti di “Signal 30” sono gli uomini e le loro insicurezze. In particolare è Pete Campbell il più bistrattato, l’uomo con il quale è praticamente impossibile provare empatia, e che pure è uno dei personaggi più complessi. Con la cattiveria di cui solo gli autori di Mad Men sono capaci, Pete viene sottoposto ad una umiliazione dopo l’altra, e la cosa eclatante è che se le cerca tutte, essendo così bigotto da inorridire ad ogni sintomo di progressione sociale altrui, ma anche così attratto da quella gioventù che si è lasciato sfuggire troppo presto per incasellarsi in ciò che è richiesto dalle apparenze sociali. Imitando pallidamente il Don Draper che fu, Pete guadagna solo sguardi di disapprovazione, e infine una meritata scazzotata – ironia della sorte – da parte del non proprio intraprendente Lane, che pure sovrasta in coerenza il povero Campbell e lo manda fisicamente e moralmente al tappeto. E Don risplende nella sua felicità, ma solo perché momentaneamente elevato a supereroe al confronto con l’ordinario Pete.
“Far Away Places”, episodio dalla struttura atipica, esplicita i viaggi di diversa natura che i protagonisti (in questo caso Peggy, Roger e i Draper) devono intraprendere per capire meglio ciò che sono, ciò che hanno e ciò che vogliono. Dopo l’ennesimo fallimento con la campagna pubblicitaria per il signor “fagioli Heinz”, la frustrazione di Peggy, acuita dall’assenza di Don, è alle stelle. In fuga dal lavoro e anche dal fidanzato, la ragazza trova il modo più veloce per riacquisire il controllo sul mondo maschile in un cinema, al buio, con uno sconosciuto. Troppo facile però, e nel finale, dopo una surreale conversazione con l’interessante nuovo acquisto Michael, l’unica cosa da fare per lei è tornare a cercare Abe. I coniugi Sterling, invece, sperimentano l’LSD assieme agli amici psichiatri e intellettuali di Jane (a dire il vero abbastanza fuori luogo nell’ambiente). Attraverso un percorso allucinatorio francamente divertente, Roger fa chiarezza sulla sua paura di invecchiare e sull’infelicità del proprio matrimonio: significativo che la sincerità reciproca tra lui e Jane arrivi sotto l’effetto di allucinogeni (lo stato allucinatorio chiarificatore accomuna Roger al Don dell’episodio precedente: gli uomini di Mad Men sono incapaci di prendere concretamente decisioni nella vita di tutti i giorni). Il risultato sarà un costoso divorzio e un’ondata di ottimismo per Roger, che infatti, nella puntata successiva, apparirà più brillante del solito. Dopo i frammenti idilliaci di “Signal 30”, Don e Megan sono i protagonisti del segmento più disturbante: un viaggio di piacere in giorno lavorativo imposto da Don diventa un incubo per quest’ultimo, costretto a rivedere le sue manie possessive e le sue abituali reazioni (come sparire in macchina lasciando la consorte in un parcheggio piuttosto che affrontare un litigio): Megan sparisce a sua volta e si fa aspettare e inseguire, e Don dimostra di non aver ancora imparato a gestire esseri umani che rifuggono la riduzione a proprietà da manipolare a piacimento.
L’emancipazione di Megan, però, è più apparente di quel che sembra, come apprendiamo in “At The Codfish Ball”, in cui l’arrivo dei genitori della giovane canadese è l’occasione per un’ennesima immagine di vita matrimoniale non proprio edificante. Tra una madre annoiata e intraprendente con gli uomini e un padre intellettuale socialista vagamente fallito, si puntualizza che in effetti Megan – a a differenza di Peggy, ad esempio – ha trovato nel matrimonio con Don una scorciatoia intrapresa senza troppi problemi. E l’immutabilità retrograda dello spot per la Heinz da lei ideato pare dimostrare che, in fondo, è preferibile adagiarsi in confortanti schemi prefabbricati piuttosto che cambiare le cose davvero. Per una Megan sposa altoborghese, c’è una Peggy che modernamente accetta di andare a convivere con Abe: richiesta, questa, fatta con l’emozione di una proposta di matrimonio, ma che incontrerà ovviamente opposizioni familiari (dalla madre di Peggy), e che anche la stessa Peggy non sa bene come prendere, se con gioia o con delusione. Il “ballo del merluzzo” del titolo è la cerimonia con cui l’American Cancer Society conferisce a Don un premio per la sua lettera anti-Lucky Strike della scorsa stagione, che non era altro che una ripicca per l’abbandono della firm da parte della ditta: ancora veli di ipocrisia, in cui il sarcasmo di Roger è necessaria breccia. Su tutto aleggia lo sguardo di Sally (momentaneamente a Manhattan e protagonista di irresistibili scambi con Roger) che si allena a leggere ipocrisie e comportamenti scabrosi del mondo degli adulti, rimanendone disgustata, come annuncia lapidaria al redivivo piccolo ex vicino di casa Glen, ora amico telefonico.
Allucinazioni, smascheramenti, cronaca nera, questione femminile e razziale, inconscio di una nazione ed emancipazioni reali e artificiose: Mad Men è entrato trionfalmente nel vivo degli anni Sessanta con una chiave di lettura vincente e appassionante, e questo alone di oscurità gli dona come uno smoking di alta sartoria.
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Scritto da Chiara Checcaglini.