Innamorati dei cartoni animati, Evangelion
Shinseiki Evangelion è diventato nel corso degli anni un fenomeno culturale, dando vita a innumerevoli versioni parallele, autorizzate e non, passando dal video alla carta fino a invadere il web. Tanto successo ha però radici dolorose. Hideaki Anno realizza infatti Evangelion dopo essere uscito da una profonda depressione, e la serie vuole rappresentare il suo percorso di guarigione, invitando al contempo gli spettatori a seguirlo nel suo viaggio di “perfezionamento”. Secondo una dichiarazione dell’autore, Shinji, il protagonista, è modellato sulla sua personalità: un ragazzino pieno di complessi che si odia e che vorrebbe essere lodato dagli altri anche senza stringere amicizie troppo intense.
Letto in questa chiave, Evangelion si rivela un vero e proprio trattato filosofico su come affrontare la solitudine e la morte. Il tema della morte in particolare si declina in diversi modi: dal collettivo incubo dell’estinzione della razza umana sotto il peso di eventi catastrofici, all’individuale confronto con la morte, alla quotidiana lotta per superare il dolore generato dalla scomparsa di persone alle quali si è affettivamente legati.
È soprattutto attraverso il personaggio di Kaworu Nagisa, un nuovo pilota che si rivelerà essere invece il 17° angelo, ovvero uno degli esseri inviati per sterminare definitivamente la razza umana, che Anno dà voce a questo livello della storia. È a lui che Shinji confida il suo stato d’animo e i suoi dubbi (“Prima di arrivare qui i miei erano giorni vuoti, non facevo nient’altro che esistere, gli esseri umani mi erano indifferenti, tranne mio padre, l’unico che detestavo, eppure non sono sicuro che adesso sia meglio”, Ep. 24) ed è a questo personaggio che viene affidata l’espressione di alcune considerazioni che si riveleranno cruciali per il finale della serie (“Tu hai paura di toccare il tuo prossimo? Senza conoscere altre persone non è possibile né tradirsi né ferirsi l’un l’altro, però non è neanche possibile dimenticare la solitudine ed è solo grazie al fatto che riescono a dimenticarla che gli uomini possono vivere”, Ep. 24). I due personaggi, che possono essere visti come altrettanti modi di leggere il mondo e di affrontare vita e morte, non a caso arrivano a uno scontro finale in cui però la chiave di volta è la scelta di Kaworu di sacrificarsi per consentire a Shinji di sopravvivere (“Tu non sei un essere adatto alla morte, hai bisogno di un futuro”, Ep. 24).
Nel finale, Hideaki Anno si concentra su un’analisi approfondita dei conflitti interiori di Shinji e degli altri personaggi, utilizzando un’animazione astratta e “dimenticando” la dimensione “robotica” della saga. Viene introdotto anzi il dubbio che la storia di Evangelion non sia altro che un sogno attraverso il quale il protagonista ha dato espressione alle sue insicurezze e alla sua paura di vivere. Quello che nella serie viene chiamato “progetto per il perfezionamento dell’uomo” è allora forse il tentativo di trasmettere allo spettatore il messaggio che il solo modo per raggiungere la felicità è lavorare sulla propria anima, e la storia non è quella di una battaglia tra l’umano e l’alieno, ma del conflitto tra le contrastanti tensioni, verso la vita e verso la morte, che convivono nell’individuo.
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uno dei più bei anime di sempre, significativo e importante per più aspetti. Avendolo rivisto giusto lo scorso mese, una delle cose che più mi ha colpito è stata la fortissima intratestualità dell’opera: ogni secondo conta, ogni azione ha origini e ripercussioni, ogni singolo passaggio risuona più volte in diverse parti della narrazione. Gli ultimi due episodi, poi, li considero un grande esempio di “arte dell’arrangiarsi”, visto il budget quasi inesistente con il quale la Gainax e Anno si trovarono originariamente a operare per chiudere il cartone. Alla fine ho aggiunto pure i due Rebuild usciti negli scorsi anni, e fortunatamente non fanno altro che aggiungere ulteriori magnifici tasselli a una grande opera.
In effetti Evangelion è anche uno splendido esempio di come l’animazione nipponica abbia saputo fare di necessità virtù. Penso proprio agli ultimi due episodi a cui facevi riferimento. L’espediente dei primi piani prolungati, degli “occhi grandi e luminosi” con cui vengono comunicate così efficacemente le emozioni e le passioni dei personaggi sono proprio nati per contenere il budget delle serie televisive. Un’animazione limitata, ma solo nei costi, mai nella qualità espressiva.