C’era una volta…Berlino: “Il diavolo probabilmente”
[…] persino Antonioni, in confronto a lui, è quasi un regista commerciale.
Susan Sontag
Lui è Robert Bresson, autore di un cinema intransigente, difficile, stilizzato ed estremamente interiore.
Faccio dei lavori che possono dare delle risposte alle mie angosce, Regista o director. Non si tratta di dirigere qualcuno, ma di dirigere se stessi, Il pubblico non sa quel che vuole. Imponigli le tue volontà, le tue voluttà.
Autobiografico ma non intimista, essenziale ma non riduttivo, lirico ma non soggettivo, quello di Bresson non è cinema ma cinematografo, scrittura di suoni e immagini (ndg niente a che vedere con la rubrica di Marzullo anzi ne approfitto per invitarvi e invitare a firmare la petizione “Chiudete Cinematografo”.
Ammesse e premesse tutte le barriere architettoniche tra chi scrive e l’auteur, accedo in punta di dita al suo film più avverbiale, Il Diavolo Probabilmente.
Invariabile, come l’avverbio, è il pensiero del suo protagonista, Charles, suicida come Cristo, per mano altrui. Morte annunciata fin dai titoli di testa, evocata nelle tappe di una via Crucis laica formato flashback e infine esibita in fretta, con le ultime parole negate – Credevo che in un momento così grave avrei avuto dei pensieri sublimi, vuoi sapere cosa penso? dice la voce di Charles prima dello sparo – a sottolineare l’invariabilità della scelta.
L’assenza di direzione, leitmotiv di tutto il film, è rappresentata sia esternamente nella locandina – Charles che avanza incerto con la testa immersa tra nuvole rosse – che internamente, in particolare nella scena dell’autobus quando, alla pronuncia della parola “diavolo”, l’autista scappa via terrorizzato con il rumore dei clacson e del traffico in sottofondo. Non semplicemente una frase detta da uno sconosciuto sull’autobus, il titolo del film viene invece da un dialogo de I fratelli Karamazov di Dostoevskij, autore feticcio di Bresson assieme a Bernanos.
Si, perché prima di vestire Prada, il diavolo è stato nudo, emblema della negazione. La sottrazione del resto è un elemento stilistico del cineasta francese a partire dalla recitazione assente, ridotta all’enunciazione delle battute, fino ai dettagli delle bottiglie di coca cola vuote ai piedi del letto di Charles o ai frigoriferi anch’essi sempre vuoti (ndg ecco perché tutti i personaggi sono magrissimi).
L’addizione è invece nei dialoghi, spesso trasformati in monologhi, veri e propri saggi sull’ecologia, la politica, Dio, la civiltà, il progresso, l’amore, l’esistenza, perché, come ha sottolineato François Truffaut, Il Diavolo Probabilmente ci parla della bellezza, dell’intelligenza e della gravità della giovinezza, attraverso figure di angeli medievali che camminano sull’aria e dei quali la verità oltrepassa quella di un’epoca. Ritratto di una generazione eseguito da Bresson nel 1977, all’età di 76 anni, con le suole delle scarpe non consumate perché lui sapeva camminare.
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Scritto da Giusy Palumbo.